martedì 28 maggio 2013

Bisogna essere miseri.



Bisogna essere miseri.

C’era una bambina che ha rollava sigarette per sua madre e poi per me,
e poi per sua madre all’infinito in una scena più che surreale.
Smettila, non se le fumerà mai!

Appena siamo nati i vortici erano vestiti più che bene
e ci abbracciavano il volto,
ma era felicità of a memory, quella,
e a fare come leopardi non si può né si deve ma si è costretti a volte.
Così, scomparve la miseria misera di tutto il tempo a fiumi.

Ma si ricompare come ectoplasmi,
ma si ama mai,
ma si ride mai,
ma che voglio da voi?
La vie en rose ci avrei scommesso a quindici anni e ne sono passati quaranta
quasi in testa.
Io vorrei tornarci, ma la vita è più forte,
e tutto trascina sempre nei flussi con trappole dentro,
e tu stesso sei quel flusso di maschere frenetiche.
Tenendo determinate ali in mano e accarezzandole
e poi c’è qualcosa in più.
Voglio essere ascoltato, almeno alla fine
di queste tragedie ogni volta,
almeno alla fine del film.
Il caos ci vuole e nessuno ci si deve sottrarre,
l’amore ci vuole e nessuno ci si deve sottrarre ma allora perché alcuni si sottraggono?
Non bisogna essere prigionieri,
bisogna anzi avere la chiave per tutte le cose e le emozioni.
Quando scendo le scale mi sento che non esisto o che non ho senso spesso entrambi.
È un problema che ha a che fare con la mia testa di cazzo.
Sei perso e non sai come,
vorrei fare come i fratelli ma loro non capiscono il flusso e purtroppo lo capiranno.
Vivere è tremendo se non ti adatti ai mondi e ai multiversi,
e alle facce brutte, secretly.

Il senso delle cose che scrivo è tutto in alcune filosofie di pessimismo e nichilismo non costruttivo,
e così il mio,
ma è vero,
non c’è niente di poetico,
vorrei solo che voi capiste, ed è malato perché non dovrebbe fottermene così tanto.
Devo essere aperto ma non così, non così nel male,
non le mare di male,
non nelle ali a punta o nei visi a punta o nelle case a punta o nelle ex a punta.
E crescere e poi abbandonare le cosette inutili.
Il senso è che l’esistenza degli uragani
comprende solo due posti, quali l’occhio o la polvere,
e se sei polvere non ha senso, non ha senso nemmeno se sei occhio ma almeno sei distratto dal vagare miserabile nelle serate mainstream nelle marche nell’amore alternative nell’amore dei film nella violenza dei film nei baci che non si è osato dare a persone ubriache da fottersi in testa.

Cani e randagi sono due razze differenti,
cani e randagi sono due cose che non c’entrano niente,
e non si può collimare
ma è necessario credere più di quanto dicano certe canzoni,
e scrivere non lo è, credetemi, o per lo meno
lo è in funzione dell’autostima maledetta.
Quindi, al di là del disequilibrio caro che ci stramma e ci ricompone come mamme impazzite,
al di là del disordine e delle lacrime allo stress,
al di là dei leviatani tristi e dei sogni
ci sarà una fine del mondo aliena,
e prima di ciò tutti ci saremmo chiesti almeno cento volte quanto vale
non sprecare niente e tentare di fare tutto e quanto però siamo incoerenti che poi è quello che siamo e basta.
Non è di certo poesia, la poesia è bella, la poesia è dire che amore e morte coincidono,
dire di essere una foglia,
dire di essere un’isola nel tempo o rottami rancidi nei lampioni rotti di Thomas.
Rimbaud che ha fatto se non morire in Africa?
A diciassette anni ha capito che queste cose sono solo anatre nei laghi di cancri e scorie.

Fluorescenza contro le stelle e l’inquinamento al gas,
musica per evitare le sabbe
e poi morire di overdose
e poi pensare a quanto ogni energia non ci realizza ma ci debilita
fino a farci capire che
se non vivessimo come fanno ogni giorno i non adulti
non conterebbe nulla fare nient’altro di più.
E scrivere parole a caso per significare inconsci a caso
e solo un gesto
che non sostituisce la vita vera,
visto che un meccanico qualunque o un elettrauto qualunque
ha la saggezza di dire “ corro per non distrarmi” in un contesto sbagliato,
e noi a colare e a bagnarci per questo. Che senso ha?

Esprimersi così mi sta ammazzando,
e pure mi diranno che non ne capisco un cazzo perché ne ho venti e nemmeno.
Ma perché?

Bisogna ritornare al veleno,
bisogna ritornare all’adrenalina e alle minchiate con gli amici e ad ubriacarsi non spesso.
È così, di voi finirà che non me ne fotterà nulla e viceversa,
visto che a dipendere è solo la parte più mucosa e allergica e predisposta alla malattia finta.

Voi tornate a scrivere col verso, che quello fa bene e rilassa il cervello.
Ma non così, così è brutto davvero, così ci muori e pensi che fai bene,
così non va.
Word non sostituisce la realtà ( non vi preoccupate! Non è che quella comincerà a esistere!)
e tanto meno i diari lo fanno.
Scrivere è per quelli che parlano di distici, non per quelli che hanno pisciato in tutti i pali e ora i pali sono finiti e pisciano sulla carta e pisciano sugli uomini come tanti bei giganti.
Ma i giganti sono morti nell’assenzio, no?
Si poteva essere tutto e infatti ci siamo annullati un po’ quasi come l’idealismo.
Basta con quest’arte! Basta, dai!
Né l’adolescenza né l’amore sta ad aspettare chi si vuole lacerare a posta.
Né voi lo farete.

Chi ha bisogno di questo è incoerente,
e questa è la frase più incoerente che posso creare,
perché non solo è in una “poesia” che non ha senso, ma anche ho l’impellente bisogno di vomitarla
quasi come un corpo alieno con seimila tentacoli.

Si dovrebbe vivere per sempre a sedici anni. Mi sembra logico no?
Ma allora perché tutti ne hanno di più?
Forse è nell’uomo la noia come nelle amebe l’autodistruzione.

Siamo al punto sociale di scoppio, e vorrei meno parlamenti a rompere le palle,
si smette di lamentarsi, sennò al contrario ci si suicida.
Le cose devono andare bene, uno ci deve credere a ste cose come alcuni credono in dio, le realtà non possono essere solo marce, le masse non possono essere tutti, il senso non esiste ma noi ce lo dobbiamo inventare.

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