venerdì 28 febbraio 2014

A un templio




A un templio
le volgarità erano più o meno travestite
che schifo che schifo!
Più in là le vergini non fanno caso
ai maledetti,
le rose sono piccoli tumori conservati
e chimici per lo più
ci vogliamo annientare

Perdi la ragione
e vien fuori la psichedelia
o l’oltretomba di  Venezie andate a male

La decadenza
è l’unico bel viso da fotografare
e spesso si dicono cose poco vere
ma verissime in fondo

...............



Un tempo io e lei
eravamo una cosa sola.
Una cosa sola.

Poi ci si dipana
nel caos del clima
o nelle pornografie essenziali
forti come meraviglie
da discoteca
o ossicini distrutti
dalle droghe

Bene,
e le caviglia muoiono
e non si è mai troppo al sole

......



Mi fermai anche
senza una specie di
glutine di cui esser parte.
Lei adesso vuole cambiare…

La calma investiva
tutta quella gente
dimentica di se stessa.

Bambini si fermano
su mattoni,
le vegetazioni
crescono.

mercoledì 26 febbraio 2014

A GAME OF CHESS



A GAME OF CHESS

Era tutto molto nero o molto bianco, e io nemmeno ci volevo arrivare a quel punto morte!! Ma andò così male…
La torre non poteva più avanzare, c’eravamo tutti noi davanti e a stento ci poteva passare. Johnny il cavallo se ne era partito da un po’ via per la pianura verso il regno dei neri.
Siamo in guerra da almeno venti minuti, non ricordo più i nomi di quelli che credo siano i miei parenti, sono pazzo da un sacco di tempo, mi drogo, mi drogo.
I miei commilitoni li ho visti disgregarsi a volte , essere mangiati, essere rivoluzionati nella composizione molecolare, e io resto fermo, davanti a Hrotghar il re, perché così è stato scelto per me quindi perché così ho scelto.
Cominciò tutto quando Venegas il Molosso, torre da un sacco di anni, avendo avuto libero il passaggio da Sam il vecchio cristologico, si mosse in avanti senza pietà verso Bruce Mattanza, pedone nero, esperto di speedball per lo più, con le vene più consumate del Post-moderno.
Bruce non parlava mai, ma in quell’occasione lo vidimo muovere le labbra dalla paura
“Io sono l’esistenzialismo che muore, sono la volontà dei giovani e dei non più giovani di autodistruggersi, sono l’eclettismo droghereccio, e che ne so di cosa sia amare, che ne so di cosa sia vivere ed esercitarsi a vivere? Io voglio solo morire, voglio solo sfiorirmi, e piangermi addosso, e autocommiserarmi, perché siamo soli, SIAMO SOLI!” sempre più livido e viola in faccia, sempre più ammalato.
Venegas piangeva, perché lui ha sempre odiato la violenza, ma era costretto poverino, ERA COSTRETTO!
Lo vidi maledire dio, e sputare sangue da ulcere accumulatesi in lui per tantissimi anni, e sbrindellare con accenti spagnoli il corpo del povero Bruce, senza pietà, piangendo, deteriorandosi di sale, squagliandosi la coscienza, morendo dentro, morendo dentro
“Io non voglio, io non voglio, io non voglio, io non voglio, io non voglio, IO NON VOGLIO, IO NON VOGLIO!!”


Poi la vidimo, bellissima, donna fatale, uccide, uccide. Si è portato via Sam il vecchio pedone, unico immolato di fronte all’avanzare dell’apocalisse buia.
Perché arriverà, lo so di certo, è arrivata.
L’ho vista danzare intorno al suo piccolo cadavere, ma d’altronde non dovevano riuscire mai e poi mai a toccare il re, mai e poi mai. Non sapevo nemmeno chi era tuttavia, ma ce l’avevo nel DNA, ce l’avevo nel DNA.
E fu così che vidimo gli alfieri quasi negromanti di una civiltà sicuramente peggiore muoversi in diagonale, troppi vicino ormai, ed anche Timothy, fratello di Jhonny, se ne andò. In un battibaleno.
“Ma io cosa sono? Cosa sono? Non sono pur sempre un cavaliere, un cavallo-cavaliere?, di che cosa devo nutrirmi? Io non ne voglio guerra! Non ne voglio guerra!”, cercava di scongiurarli di lasciarlo andare.
“Ma che te la tieni a fare la vita, Timothy?? Che vivi a fare? Sei deformato, sei deformatissimo, come tutti noi. Maledetti dall’ubiquità, maledetti dal fiume. Io devo ucciderti, voglio ucciderti, non posso fare altrimenti, è il mio dovere cazzo, e il mio dovere lo capisci?? LO CAPISCI?!”. Aveva cento lacrime negli occhi e la luna più nera dentro alla testa. Thimoty il puro era morto, nel pieno degli anni, cavato dal male attraversato dallo squallore del disegno.

Poi Malthus, pedone come me, capì che non c’era niente da fare. Lo capimmo effettivamente tutti o quasi tutti, si era fermata la volontà di vivere, si era più che dissipata, e noi non avevamo niente per cui continuare. Quando la regina sposerà sempre il re, quando lo dovrà sposare sempre, e noi spettatori del malanno del destino. E ricordo aveva quasi il sorriso addosso quando è avanzato in diagonale, senza più dolori, senza più niente dentro. Ha dato circa quattrocento coltellate al Fiero Sir. Lovecraft, cavaliere africano esperto in droghe.
“Fermo Malthus! Fermo per dio! Lascierai scoperto Jimmy! La vita è breve, la vita è breve!” provai a gridargli.
Aveva gli occhi di fuori e la cocaina sotto le unghie e due spade, ma che cosa importava. Non si è mai giovani in realtà, non si è stati mai giovani, non si ha mai avuto memoria né è giusto averla.
Gli ha squarciato la faccia a metà per dio! Era fuori di sé , non stava capendo più un cazzo, solo la rabbia, solo la rabbia di aver sprecato tutte le rose dietro la violenza, dietro il massacrarsi dentro, dietro il fuoco.
So solo che fu lui ad ammazzarsi, non diede il tempo al Reverendo Il Sadico di dilaniarlo dentro. Assunse lì, sul campo, tutta la striknina che aveva dietro, e morì, come muoiono gli eroi, masticati dall’esistenza, resi gracili, proiettili da animale. Morì come gli eroi, stravolto dalle allucinazioni sul cadavere di Tommy il Fascinoso, l’unica ragione della sua esistenza.
Si erano conosciuti all’inizio della partita, entrambi con due anime appestate e falciformi, entrambi come elefanti morti, come lesbiche magre. Il cielo non è mai stato nero dietro le loro teste, mai cazzo, mai.
“Io sono la bellezza, io sono la bellezza che non riesce a uscire fuori dal corpo, io sono l’essenza, ma non so chi sono…. Con la pancia squartata che ho posso solo smemorarmi” esclamò, prima di essere sbrindellato a priori dalle lame del tedio e dei tossici.

Così accanto a me non c’era più nessuno, e Jimmy la torre gli vidi gli occhi dilaniarsi più che mai, da soli.
Adesso che Malthus non c’era più, Lei era libera di avanzare, e lo fece.
Ma Jimmy se ne era innamorato, così, quasi 10 secondi prima, senza motivo. Provava pietà per quei piccoli gesti che aveva mentre massacrava Vok, l’altro pedone venuto dall’india e abituato a scartare le occasioni migliori. Lei pianse sul suo corpo per tredici minuti, e lo baciò, anche se era morto e le sue carni irrecuperabili.
Adesso andava lentamente verso di lui, leggermente in diagonale, vestita benissimo. Jimmy sapeva che non aveva più scampo, nessuno sarebbe arrivato a coprirlo, nessuno.
E cominciò a vomitare pietre addosso a quella signora che poco prima amava così tanto, ma era un gesto inutile. Si svuotava da fuori lo stomaco con le mani, e parlava al sole “Eccomi, io non voglio più essere io, io non voglio più essere Jimmy la torre, non ne ho davvero più la forza. Ti vomito addosso tutto quello che ho, sono pieno di lacrime, sono pieno di lacrime e mestezza, queste, queste sono le conseguenze del controllo genetico. Eppure non mi hanno impedito di innamorarmi! Eppure non mi hanno impedito di devastarmi il cervello col pensiero di lei che sapevo, in fondo, mi avrebbe ucciso, a malincuore magari, tritandosi gli occhi dalla tristezza magari, annientata dalla consapevolezza di non poter mai amare nessuno, nessuno.
Io oggi mi sacrificò per nulla, perché tutto è nulla… Si va verso la tua fica perfetta, O Regina del Nero, scelgo di morire come ultima chance di attirare la tua attenzione sul mio cuore evoluto ad alieno, sui buchi nelle braccia che ho.” Vomitava e piangeva, la sua spada non brillava più, la sua spada immensa, la più grossa, non l’abbiamo vista più.
La Regina lo sfondò fortissimo nel petto fino a fracassargli il torace e i pusillanimi cuori che aveva dentro, e Jimmy la torre se ne andò via urlando come un disperato sguaiando come uno squartato.
Adesso la Signora Nera guardava il nostro re Hrotghar, Animale vichingo da soggezione, unno isterico, cavalcatore di mescalina, usurpatore di seritonine illecite nei reami della mente.

Lui riscaldava il cucchiaino con una mano e con l’altra impugnava il suo scettro senza il quale nessuno avrebbe saputo che era lui il re.
Sua moglie, La Bianca, non avrebbe mai potuto sopportare uno spettacolo di cotanta indegna gelosia e senso di possesso, di cotanta indegna fiamma blu, di tutta quella disperazione atroce nel condurre la vita sempre sul proprio colore, nel poter guardare solo lo spettacolo di un’ultima apocalisse che non era solo un’apocalisse universale ma in primo luogo matrimoniale. E nessuno aveva deciso per il loro matrimonio, nemmeno loro stessi!!
Scattò in avanti senza esitare, nudissima più nuda delle gravidanze isteriche delle cagne vergini, e io giuro averla vista mangiare la faccia un po’ lesbica della Nera, senza vergogna, solo per l’inconscio
“ Io non vivo!!! Io non ho idea di cosa sia vivere! Siamo sotto controllo siamo sotto controllo siamo sotto controllo!!!! Non ci riesco a non amarlo, non ce la faccio non ce la farò mai non ce l’ho mai fatta, lui è mio, è il mio corpo, è la mia mente!
È tutta colpa dell’incoscienza, della fase limbica dell’incoscienza, delle mitologie frustrate dell’incoscienza, del fuoco dentro le vene, della vagina, della mia vagina! Io me ne voglio andare all’altro mondo, senza che lei, Nera Speculare Forza di Non Volontà o meglio d’Annullamento possa poi uccidere l’uomo che amo così tanto senza nemmeno averlo mai conosciuto o tenuto per mano, senza mai un Blowjob o un Handjob o un footjob o un mazzo di rose in Mi minore, che è oscuro, che è oscuro…”
Subito dopo Un colpo del Negromante, Alfiere, Grande Inquisitore della vacuità dell’anima, e lei scomparve nelle ombre del cielo asigmatico, del cielo brulicante di Metastasi varie e iridi.
Doppio Negromante, l’altra faccia del regno, attaccano il re, io sono pazzo, io sono impazzito, non ho avuto il coraggio di fermarli, ho semplicemente avanzato di una casella, nel buio.

“ Caro re, la follia, la follia viene a prendervi, forse vi aveva già preso nello Spettacolo della Morte. Io odio me stesso, io odio Me e la Negromanzia alla quale sono alfierianamente legato per genetica struttura, io mi odio, e tutti noi odiamo noi stessi in un mantra caleidoscopico di repressioni e magia nera. 
Ma è così che deve andare, noi siamo costretti a subire lo spettacolo della predestinazione, senza avere un attimo di respiro , senza essere mai fuori dalla ruota, costretti a ucciderci, a mangiarci a vicenda, a giustiziarci, senza mai amare, senza mai fare sesso, drogati di combustione venale, drogati di cuori malati, estetisti, miracolosi esperimenti della chirurgia aliena. Io mi odio ma odio di più te, Hrotghar.”

martedì 25 febbraio 2014

Fallout



Fallout

Vengono intorpiditi.

E io mi sono specchiato
in qualche rovo selvatico
e sembrava tutto una vecchia centrale elettrica
sotto i fall-out nucleari
per lo più verdi e marciti

è scheletro la nebbia
noi ci scervelliamo al crepuscolo
si vede male di nuovo
e tutto è
sul palcoscenico
del teatro comunale di Trecastagni

Ora si strappa
il destino,
io,
saturno già morto
la luna decadente
le schiave,
le sei ossa
sembrano scatti emotivi
verso
inverni finti e datteri e palme

Ora sul mare tre o quattro
ninfe
la noia se ne va
le indiane si sposano
su spiagge perfette                                    

Noi non siamo caduti
ma è come se fosse,
sei la jungla
e la tranquillità
dell’esistenza.

Conta l’ambivalenza
e leccarsi
o l’albero non ci guarda più in faccia
L’alieno
è una piccola macchia
o un tipo debole
e ci seminano.
Una confezione
di squarci di lente
per due.

La varietà
di ogni secondo e si è,
ci trascini dietro
senza neanche
darci il tempo 
di ricordarcelo