lunedì 16 ottobre 2023

Nuovi Relitti compie dieci anni!

 Nuovi Relitti compie dieci anni! 

Chi si rincuorerà se non qualcuno, 

qualcuno corvino nei capelli e

con lo sguardo profondo, 

qualcuno di riccio nei capelli 

e con lo sguardo acceso, 

e qualcun altro 

il cui volto 

non so. 


Niente si congeda, per ora, 

tutto ci guarda continuare 

ad agire imperterriti, 

si spera sempre più nudi, 

con le armi sempre più abbassate 

i gladi sempre più riposti 

gli scudi, come Archilochi, 

sempre più gettati via. 

 

Del flusso che insieme siam stati, invece, 

rimane la fluttuazione, 

poichè tutto è immobile, 

nella sua frenetica 

confusione. 

domenica 18 giugno 2023

 

Marzamemi

 

Discendenti di stirpi indoarie

da adulti e da bambini

sarebbero riusciti

a unire

i sessi complementari,

a guardarsi negli occhi

nel godere

per unire qualcosa

di già unico in realtà

compilando nel mentre

un taccuino di voglie

meno luminose

ma più vere

di quel non compiuto

che tanto riscaldava il petto

in giovane età.

 

Discendenti di stirpi indoarie

da adulti e da bambini

non avrebbero più ricordato il sogno

di un elefante, di un toro,

un leone, una dea, una ghirlanda,

una luna, un sole, un lago di loti,

un oceano di latte,

un palazzo celeste,

                                                 e una fiamma senza fumo.


 

 

 

San Lorenzo

 

O cane grigio: Cala Silenzio ti ha in sé

se entri in acqua

e occhi chiari socchiudi e chiudi

e non hai più confini

sospeso nel pulviscolo rosa

di conchiglie e chele di granchio

essiccate, imbiancate

tutte come timidi scheletri

ogni giorno a dar luce

alle ossa

dissotterrandole

dalla rossa carne.


 

 

 

 

 

 

 

Seconda classe, notturno. Livorno

 

Seconda classe, notturno. Livorno,

2:40.

Tre napoletani e un catanese  

hanno provato attrazione,

invidia e quindi odio

per l’alta transessuale

che camminava nel corridoio

del treno notte,

armato

il loro cazzo

e puntatolo 

in direzione

di donne californiane,

preso in giro

quel pazzo che parlava solo

e chiedeva sigarette a tutti.


 

 

 

 

 

 

Sacra di S. Michele/ La biglia della mia schiena

 

Sorto tutto nel mistero

la nostra mente giustifica.

 

L’abbazia è un titano

trapiantato su fianco prealpino

e circondato da monoliti celti,  

verde roccia militare,

900 dopo cristo,

roccaforte dell’ebraiche macchine

e di Michele.

 

Forse ho dimenticato ogni amico

non v’è mai stato un amico

nel monastero deserto.

L’avrei ringraziato

per non aver avuto i miei occhi,

per essere stato impossibile

dietro   questi

                       occhi

                                  nocciola.

 

********************

 

Era notte e

dalla tromba delle scale

una bambina rosa

dal capello biondo

lanciò pastelli

sulla mia nuca.

La bambina era rosa

i suoi capelli biondi

e dalla tromba delle scale

diresse un pastello

contro ogni tua nuca

per avvertirti di un mostro

più grande

cui non avevi pensato.

 

Sorge un tramonto elettrico

tra i puntini e le i,

ogni puntino è un sole rosso

sull’orizzonte

della vocale

che ora è un lungo oceano.

Tu sei tra ginocchia ed erba

e cosce succulente

e intorno tutto l’amore

e l’odio, confini sacri che oscillano

al ritmo dei ventricoli

e la terra è marrone e

affamata, fosca, ammattita,

vi ingoia in sé

come plancton in balena

o soldati in foresta.

 

Dalla tromba delle scale

alla nuca arrivò il pastello

e quando posi lo sguardo dinnanzi a me 

il mostro era lì, alla porta che presto

gli sarebbe stata chiusa sulla faccia,

vestito elegante e con un mazzo di fiori,

affine solo a sé stesso.

E sul legno di quella porta

il fermento del taglio che il coltello

ha solcato,                                        

occhio di lupo rosso

in bosco silvano verde smeraldo.

 

Ogni immagine è totale:

INVADILA.

 

Il confine è enormemente ampliato dalla dolcezza.

 

Tutto è ondata, ogni immagine è totale:

che nell’eccesso di forma,

nei nomi che date alle cose

possiate sconvolgervi, e perdervi,

superando lo schema

 -il contorno, il fonema-

nella macchia di colore

e nell’alone.

 

Oh occhi,

siete tutto ciò che resta,

nervo che agli occhi del pensiero

vi rende occhi vitrei

in realtà

sordido sonar

per l’invisibile.

 

Sbiadirono azzurro e arancione

invecchiò il macramè ai polsi

ma il mostro era ancora

lì, dietro la porta,

ombra di un maschio

mirabile e afflitto,

sesso che ha pace

solo nella sua espansione,

generale pazzo

che guarda il campo.

 

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Tu non / odi.

Quella volta nel parchetto

il fiore era un fulmine

e vista di falco

permetteva.

 

Tra rovine come gabbie

e la torre

nessuno avrebbe più pronunciato

l’incanto raggrinzito

nelle labbra negre della prigioniera,

lei avendo covato tutto

in quelle labbra come gabbie

come rovine

cercando di pronunziare

la magia dei denti che sbattevano sui denti

per il freddo,

della pelle,

delle giunture che spuntavano sotto essa

come cunei coperti da teli

e di tutte le cose che la distinguevano dagli altri,

senza mai una volta ringraziare l’assoluto

per i doni che gli dava

quando gli spaccava la faccia

e anzi, al contrario,

vivendo quei doni

come irrecusabili certezze

e la magia di quel canto

che aveva in bocca

come l’unico suo avere.

 

Ora il mistero protegge solenne

la fisionomia financo la quinta essenza degli altri

e nessuno indovinerà la canzone

che muore tra le labbra tue, tra le loro:

la storia, e dico, la storia di tutti sotto al cielo,

sa solo esser scura,

i suoi percorsi fiotti, getti.

La nostra canzone è nel tono del respiro,

nel respiro

rinchiuso nello spazio

tra noi e l’informazione,

tra noi e gli altri

barricati in quel circolo di buio,

e non ci guardiamo indietro

per niente al mondo.

 

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La differenza.

 

 

                                                    (La biglia della mia schiena)

 

 

                                                                 La differenza, eppure

                                                   era incarnata in un corpo uguale

                                        non probabile

                                   non presentabile,

difficilmente definibile

dal più lungo aggettivo.

Marrone è il colore di terra e catarro,

noi siamo la differenza

che la mano sfiora e sente,

quella sottile abitudine

del fato

a farsi immagine totale

per l’occhio che lo dipana.

 

La biglia della mia schiena

è stata già lanciata

e rotola sulle mie gambe

affinché cuore si riposi e si spenga.


20/09/2018

La biglia della mia schiena pt.2

 

Ogni cigolio di vento

latore di comunicazioni sparse

ti si insinua nel capello

per ricollegarti a ciò che vibra.

 

Dal feto nel feto

si avvinghia la storia,

risultato funesto

di padelle cadute

giù dall’armadietto

come tessere una sull’altra. 

 

Guarda, un parcheggio grigio, il Mothership,

la luna,

un frigorifero vuoto,

una percezione che può riempirsi,

uno stagno verde acqua.

Lei camminava ma

era un’illusione?

ero io che mi muovevo?

Poi si colorò

e tra le sue più grandi gesta

vi fu il colorarsi,

l’assumere, fascio di luce, una forma

per gli occhi,

e l’occhio fu il re.

 

Certo, anche l’orecchio.

 

Potete trovarmi in un frigorifero vuoto

al centro di un parcheggio grigio.

Rappresento il cervello e i suoi tentacoli sinuosi

che si abbarbicano al mattino

per camminare.

 

La bambina diresse

a mo’ di dardi

un pastello per ogni

punto della tua nuca.

Voleva avvertirti

del mostro,

che si è compiuto 

attraverso di te

riprodotto

e adesso sta bene.

E dirti che i pastelli non erano

che un invito

a percepire,

a percepire,

a percepire.

Ti ha anche sorriso,

incontenibile il suo affetto,

incontrollabile come

la biglia che sta nella schiena,

lanciata giù dal burrone

in fretta e furia

e per sempre

perduta di vista.

 

sabato 10 aprile 2021

Eris Klinz ti ringrazio

 

 

Una persona pulita mi è apparsa come un orecchio.

Un orecchio enorme.

 

Puoi abbracciarlo addirittura

e crescere con lui

fino a diventare

talmente trasparente

da amare.

 

Noi siamo ancora di fango

e puteolente scaglia detritica

e schifo e madonne.

 

Madonne che non pregano

se non la spina enorme e sporca

che le intasa

e stanno scalze

sulla crosta di un aguzzo pianeta convesso.