domenica 30 giugno 2013

Un anno di un grande niente che è tutto ma non vale dirlo ma lo dico.



Un anno di un grande niente che è tutto ma non vale dirlo ma lo dico.

Le stelle  mi hanno percosso lentamente
il flusso carbone che poi è la pelle statica.
Un anno in tre minuti lo rivedi a stento
anzi non lo rivedi
lo chiudi.
Così, amo oggi la pazzia
e dirla
ma non sono più soddisfatto
dei cambi dei capelli
che tanto ti piacevano quasi come
potessi cambiarti l’autostima.

Un anno ha perpetuamente
la forma
di un ingranaggio affilato
che mi ha sfracellato le idee,
eppure oggi
mi guardo
e magari
non ci penso su
alle cose
che stanno fuori
a te che stai fuori con la tua non-fica.

Eternamente mal vestiti,
mi rendo conto
di non avere lo scopo che non volevo
ma che l’eterna follia
sta nell’interrogarsi
e si fuma perché non si ha più niente da voler dire.
Mi sono macchiato di te e quanto ti ringrazio neanche lo sai
di questi acidissimi liquidi
che poi mi spaccavano le labbra
e rischiavo l’AIDS.

Ma oggi io non ne voglio
sapere un cazzo di me stesso,
vorrei non avere un ‘autocoscienza
per poter dedicare il tempo
allo spreco del tempo
e non al pensiero
dello spreco del tempo.

Mi stancavo presto
del non aver disagio,
un po’ era questo il problema.

Eternamente mal vestiti,
voglio girare al largo e voglio tutto
e voglio essere tutto,
e di certo la violenza la apprezzerò
come solo io posso fare
e la farò perché
il senso sta proprio nel farla.

Il mondo si sregola da sé
e lentamente
la pazzia ci scatena gli impulsi di sesso e ti prego non dirmi che te ne vergogni e porcodio che spacchio vuoi da me tesoro io non ci posso fare niente.
L’eleganza del disadattato
sta proprio
nel non riuscire
ma nel dover.
Ora la luce mi tagliuzza
e credo che
mi sento bene
ma sti cazzo di momenti
serviranno pur a qualcosa, no.

Io non saprei più esistere se non ne avessi il vizio.

È come tutte le droghe
che ci fa assumere lo spazio
e dico droghe che assume di continuo anche mia madre
anche tu,
droghe come il blu.
Malata, fai discorsi
che poi credi che hanno senso
ma nel frattempo ti piace
non provare piacere
e poi
non vuoi
e non sai volere un cazzo
e non sai nemmeno
che sei una tomba bellissima,
un tomba che scoperei.

Mi ricordo che quando
sono arrivato
dissi
di non essere arrivato
e infatti che cazzo ne so dov’ero
e dove sono ora.
Mi rompi le ossa
a furia
di essere troia col mondo,
ma anche io
non facevo di meglio
che non stuprarti,
che poi era quello che non volevi.


Io non ci sto capendo un cazzo
di quest’anno
so solo
che ovviamente
ogni anno
è un secondo
anzi un millisecondo,
e poi
dai
che mi iniettate
nel cervello
le vostre armi d’aurora,
e io che ne so come difendermi l’inconscio mio
maschio o femmina che sia
che ne so come si sigla un processo che è storico ma non ci devi pensare
che ne so io come si smette
di surrogarsi l’adrenalina
perché il mondo non la da
come te che non la dai.

AHAHAHAHA.

Bu, io credo
che a breve
tanti
decideranno.

Ma ora
io mi manco
e mi ritrovo allo stesso tempo,
e ricordo che l’anno scorso
avevo tanta voglia
di avere voglia,
ora ho tanta voglia di smetterla di pensare
che tanto la logica delle conseguenze
impone il caso,
visto che l’opposto è uguale a quello da cui scappa,
così
i flussi in trappola
si liberano almeno una volta
e insistono con me
che io non voglio insistere
mai
ma devo.

Adesso,
eternamente mal vestiti di noia
e sintomi tali
mi rendo conto
che c’è del buono
in noi ammalati di niente.
Ma non in te,
vorresti tanto il mare delle lacrime
ma non esiste.

Mi manco e non mi sento in piedi ora,
domani sarà diverso
deve,
altrimenti anche questo pavimento
pecca di texture e crolla.

Ambi i lati del corpo
si maledicono
di non aver compreso
il valore,
che è un cazzo il valore,
che è niente.
Un anno a dare alle cose
il peso
che vorrebbero avere ma non hanno,
mi ha costretto alla corsa contro le immagini
belle dannate belle dannate
e quindi
il grigio si mescola a Syd Barret
e ne vien fuori
che sarò violento e
felice
e allegramente
mal vestito
di blu chiaro. Così come non volevi che fosse.
ora ti lascio la droga, un po’ me la tengo però
non sono un coglione. 


Inno alla violenza.



Inno alla violenza.

Amo la violenza
ma non riesco
a subirla.
È una linea verde
allucinogena
che ipnotizza
i crani.

Ogni farfalla
fugge
ogni prigione
fugge
ogni farfalla
il buio blu di partorire.

Quella, però, fa la troia con tutti.

Mettete giù anche queste difese,
distruggete l’acqua annegandoci,
io non mi scuoto mai.
Interamente
ricoperti
da acidi
ci scartavetriamo
ridendo.
Riflettendo sul male
ho capito alcune cose,
vivendo non capisci mai
un cazzo.

E poi l’MD
al cuore 
e poi
sbaviamo sangue
e viole
per vedere
se ancora
si può
sentire qualcosa
di convincente
nelle adrenaline.

Ci meriteremmo Medusa
o mille altri serpenti innati,
ci meriteremmo
di affogare
nel vortice altruista
della paura.

giovedì 27 giugno 2013

Così mi sembravate.



Così mi sembravate.

Il degrado dentro ci spalancò gli occhi a quello fuori.
È successo che
quello che ci rendeva felici prima
ora  ci rende miseri. Dico, essere così oltre.
Ma vorrei che esistessero le mie immagini,
ma vorrei provare qualcosa per qualcuno che esiste,
anche qualcosa di brutto.

Comincia la ballata dei vecchi disperati
in cerca di una o più pensioni.

Non siete veri,
non siete veri
manco siete.
Però chi sono io per affermare verità ?

Maledetto quel pazzo,
maledetto
nella sua stravagante oggettività.
Maledetto lui perché sua madre lo voleva maledetto.
Ovvero io non so che pensare nemmeno
se pensare
nemmeno
se spaziare
nemmeno
se
meritarmi
le indagini nelle vene
e tutta questa antieroina di gente.

I negri
sperimentano
il sapore
delle strade ubriache
con la cocaina.
O per lo meno così li vedevo io


Così mi sembravate,
affamati di stecche
e di girasole
ma il sole qua lo trovi sempre dove ti giri ti giri
che bella metafora questa.
Così mi sembravate,
pescatori di zecche,
crani allucinati dall’emulsione catodica della tv,
perdenti che vincono
ragazze che si fanno
ragazzi che si fanno

fare del male facendosi del male ma facendosi del bene.


Lo capiremo prima o poi
il demerito della religione,
il demerito di dirci che le cose potevano andare meglio.

Ma dai,
ma che c’è di male
nel non sentirsi il non sentirsi in piedi?
Anzi,
è meglio
alzarsi
ogni giorno di merda
e uscire
e dimagrirsi addosso come mai,
e sperare nel disgusto e nella modestia come le armi più belle mai create.
Così,
l’autobus sarà pieno di vuoti indifferenti
con facce diverse e ruoli uguali,
così urlerete di gioia non vera
e di piangerete di tristezza non vera
ma meglio ve lo giuro voi
siete i progenitori del futuro,
voi getterete questi semi del bene
nella finestra delle cose che ci saranno dopo
e tutti cresceranno male ma in forma,
e ci evolveremo nella rozzezza,
ma che minchia vuole la società,
se già ci annientano il blu personale
per produrre il grigio industriale?

Io non sento che la voce
dei maldestri destini
abituati a piovere e a scavare nei laghi.

Voi andrete avanti
col bel pensiero
del dopo.

Ma non c’entrate niente,
il problema è tutto racchiuso nel vulcano tumorale
che muore dentro.
Anche se è presto
Anche se lo voglio.
Anche se l’esclusione è il grembo fantastico
di chi odia l’esclusione.
E che sovversione
e che bombe
e che detriti
ci starebbero proprio bene.
Mendicate la spesa in sacchetti del cazzo al mais,
mendicate la benzina
mendicate i denti. 
Ma non è colpa vostra se alcuni
credono
nella fantastica prostituita tenera
dell’autodistruggersi prima di cominciare

Squarciatevi e ne usciranno
tope libidinose
che sniffano veleni bianchi
e corpi sinuosi così tanto da valere un erezione modesta,
squarciamo il telone osceno alieno della logica vera,
tengo molto alle cose e gli do nomi causali
per garantirli un vita più lunga,
senza mai pensare che magari non è il caso
di cercare augmentin per la sindrome dell’abbandono.

Scatenate le passioni mordicchiate
in partenza,
scatenate la vostra igiene ad hoc,
e che stupida cosa dover chiedere
per fare sesso.



mercoledì 26 giugno 2013

Io, te e te



So che vorrò non esistere
ma non dico  morire.
Che brutto sentirsi la pelle.

Magari le ossa di ghiaccio
magari gli occhi di vetro .

Ma ora che io e te e te
stiamo all’in piedi
e respiriamo la stessa merdosa luce arancione
e lo stesso fottuto azzurro, capisco
che non si può continuare a pensarla diversamente.
Le cose rosse ci avvolgono già la testa
e i laghi e i mostri
e le pareti
vogliono
che
ci si annienti a vicenda
per vederci soddisfatti
dal fondo
o dal guardarlo.

D’altronde che cos’hai se non i tuoi anni?

Poi sei vestito da donna e ti chiedi come mai,
poi te stesso picchia te stesso
e dice di voler solamente cooperare,
che in fondo va così e così deve andare,
ad ammutolirsi in fretta
ed utilizzare le altre e gli altri,
a pietrificarsi le dita
per mettere apposto le cose una volta per tutte.


Tutto va meglio di prima,
le correnti di chiodi
e i pesci di odio
e le emozioni sirene
stridono tutti tra loro,
non avete senso.

Non avete un cazzo di senso.
Le cose vorrei che andassero.

martedì 25 giugno 2013

La doccia delle cose.



La doccia delle cose.

L’amore non dura più di
tre mesi,
la noia quasi una vita
o una vita e mezza .
Non credo a niente.
Stesi all’ombra del sole,
ci si agita su vecchi stracci di schiene,
e poi baciamo gli specchi
sbalzati
e sbagliati.
Mi ricordi una pianta
poco appassita,
mi ricordi quando sento
di dovermi vergognare,
 quando è blu.

 Meglio non sapere
un cazzo di niente,
meglio sorvolare i cretini,
meglio non entrare
(che poi può essere anche uscire, capitemi)

Mordendo la coda
di certi cani giullari
ci divertiamo
anche
noi
nell’assaporare la follia viola
e bambina

dell’autostima.
La cattiveria è la cosa più tenera e non conosce nulla del mondo,
ed è meglio così, ed è meglio così.

Meglio meritare il blu e il bianco fusi tra loro,
mentre ti scorre
addosso
la doccia delle cose
innocue
perdute ma non perdute.

Una volta che gli occhi
saranno di pietra e vetro e pezzi di conchiglie tristissime,
imparerò a credere solo nelle cose che
un senso non ce l’hanno
che è giusto così.

E tu
che hai tremila labbra
e tremila muri lo sai,
solo così si riesce
a campare
e pensare
alle nuvole