mercoledì 27 luglio 2016

Piccola poesia circa il matiz artistico delle chitarre di Paolo e Jimmy

Jimmy, vi dirò di Jjimmy che dal suono della sua chitarra
proviene un lamento d’anima pura e lucente come un bisturi.
Dove Paolo inneggia e con epicità di trombe una battaglia risuona,
lui invece urla e urla come un saggio demone (in senso etimologico)
la cappa sua è un’irragione che si crede ragione.



Bambini troppo luminosi

Tutto era caos. Ma ti sorrido, in questa nebbia,
e provo ad abbracciarti
anche quando neghi
e con le labbra pronunci
quel monosillabo
che è l’opposto nel tuo sinuoso collo.
Giudicherete i veri saggi
come bambini troppo luminosi
per starli ad ascoltare,
e non interessa.
Tante volte son rinato
e avrò la forza necessaria per accettarlo.

Momentum Novembre

per Elena

Respiri lenta dall’acqua
dalla pesante acqua
in cui sei


La papessa (II)

La vita voglio.
E non la voglio, ultraterreno essendo.
Come in un platonico dialogo
armoniosamente
 la sacerdotessa
passa la parola ed ascolta
rispettivamente
il saturnino capricorno
il narcisista artista
il mercuriano critico di sé innanzitutto.

Poesia che non è stata letta

E tu pensi ancora che il corpo
debba avere lo stesso senso che la chiesa gl’ha dato!
Così lo stupri!
È un templio!
È un essere a parte, meraviglioso!
Solo apparentemente contiene
ciò da cui in realtà è contenuto.

Palp(e)bra e Jack, ancora loro
Da dove siete venuti, e perché?

Della leggerezza posso solo dire
che non la invidio
ma ho il mio modo e di certo i miei loci amoeni
per leggero sentirmi.
Ho cercato per ore e nessuno ho trovato
che ascoltarti volesse, sir.

Vieni qui, piccola, vieni
da me re o dei paguri vassallo,
vorrei leggerti i tarocchi,
saggiare il tenero tessuto
della 心霊 tua.
Forse, non avrai più paura.
La mente può essere un gran manicomio bianco
di solitudine.
Ma dalla finestra ebbene l’universo si vede.
Vieni qui, sweetheart¸ vieni,
sarà sempre mattino o sempre notte,
a piacimento.

Il Pane

Emerso è il più profondo pezzo di ghiaccio
ed adesso ne sento le lunghe sempiterne dita
frugare in me
dopo che in te per tanto tempo ho frugato.

E di nuovo il mondo da una finestra aperta.

Il pane, credo, sia l’ultimo grande progresso scientifico dell’uomo.
Ci saremmo tranquillamente potuti fermare al pane.
È semplice come un dio dev’essere
ed è impastato da vigorose mani sensuali.

E te ne vai, fagotto sulle spalle
come la carta de “Il Matto”.
Sei via.
Ti piace esser via.
Ti analizzi e ti perdi
questa è la mia anima senza fiocchi
ma non applaudite
che è solo un fiocco.

Talvolta ho ancora paura
ma è tutto vero.

Rimuovi te stesso, non far altro.
Rimuovi l’impressione e la proiezione, vivifica, bonifica, pota.
Prediligi le poesie contorte, le urla, l’infinito.
E ti dico anche il contrario di ciò:
chi cresce a Trecastagni, ricorda,
a Trecastagni tornerà per morire.

Gentleman, operaio, freak

Caro Faber ora vedo il potere d’un anarchico,
che effetto ha avuto su chi ha saputo ascoltare.
L’ultimo stadio di questa perentoria egoica malfattrice
res pubblica
è il suo suicidio
e quando ognuno il cuore avrà strappato
a se stesso
in un rituale di tanto sangue
sarà un unico grido
e tutti avremmo preso una strada diversa per lo stesso
patibolo di gioia,
in coro, su, in coro, su,
tu gentleman infame
spogliati della materia che ami,
tu operaio sudato,
tu freak.

martedì 26 luglio 2016

Sing another song, boys

Leonard Cohen

Let's sing another song boys, this one has grown old and bitter

All hi fingernails i see they're broken,
his ships they're all on fire,
the moneylender's lovely little daughter,
oh she's eaten, she's eaten with desire.
She spies him through the glasses
from the pawnshops of her wicked father.
She hails him with a microphone that some poor singer, just like me,
had to leave her.
She tempts him with a clarinet,
she waves her Nazi dagger.

She finds him lying in a heap,
she wants to be his woman.
He says: " yes i just may go to sleep,
but kindly leave, leave the future, leave it open".
He stands where it is steep,
oh i guess he thinks he's the very first one,
his hands upon her leather belt now
like it was the wheel of some big ocean liner.
And she will learn to touch her self so well
as all the sails burn down like paper.
And he has lit the chain
of his famous cigarillo.

Ah, they'll never, they'll never ever reach the moon,
at least not the one that they were after;
t's floating broken on the open sea, look out there, my friend,
and it carries no survivors.
But let's leave these lovers wondering
why they cannot have each other,
and let's sing another song, boys,
this one has grown old and bitter.


giovedì 21 luglio 2016

Final Fantasy (I)

Con tanti sforzi Vivi
continuava a chiedersi,
da mago oscuro,
quale poteva essere il senso di sé
e della propria razza
quando in laboratorio
v’hanno creato per usarvi
e per una casualità avete preso coscienza
della vostra condizione.

E a Madain Sari
dove la dolce Eiko
suona il flauto di Lamia
dove la bianca Garnet
imparò a parlare con gli dei
e non sapeva che di lì a poco
avrebbe perso la voce,
l’avrebbe riacquistata
ed i suoi capelli d’Alexandria
avrebbe tagliato di netto.
Lì, dove tu mago nero bambino
piangesti sulla tua esistenzialista coscienza
che è il bene ed il male più grande,
e neanche il ladro dal cuore d’oro
e la coda di scimmia
un sorriso
a strapparti riuscì.

Ah! Ispettore!

Capitò allo spirito d’esser fatto
di pesche e di mele,
d’essere una corteccia aspra
ma immensamente buona.
Che cosa mi succederà?
Sono ad un passo e lontano
migliaia d’anni luce
dalla verità.

Potrebbe dunque un uomo decidere
di non voler soffrire
quel grande magma ferito
della separazione
ed allora solitario in una spiaggia
tornerebbe bambino
disegnerebbe la sua dama
con un bastoncino
sulla sabbia
e di quel sentimento
nulla il tempo riuscirebbe a corrompere
Ed è così, dopo tutto,
l’infanzia sa di infinito pre-conscio,
lì non v’era ancora cicatrice
la prova evidente della cesura
tra noi ed il cosmo
rimanendo il cosmo
aggrappato al singolo corpo
(ora ammalato di Maschera)
per due o tre cordicelle
di bellezza eterna inamovibile.

Così v’è corpo e anima
come due esseri distinti,
in uno l’indole e la mente giallastra
o verdastra,
nell’altro tutta l’immensa irragione
e immaginazione
Ed uno con l’altro lotteranno
fin quando una biglia di luce
alla coscienza di stelle
s’appresterà con commozione
ed esclamerà
“Ho capito di non esistere!”
e del sole più grande
acquisterà sempre di più le fattezze

Mischia, mischia questa realtà
e di lunghe fiammelle
dolci sappi arderla con leggerezza


Dal tuo volto tante balene di sale
una bratta marrone con le ali
può sembrare un oscuro presagio
ma in realtà v’è vita v’è vita
e deve questa vita morire nella vita
e nella vita rinascere

So. So. Ho visto, insomma.
Ho visto con dodici dita negli occhi
tutt’al più solo.
Ed è una tomba d’acqua tra le montagne
questo percorso qui sarà piacevole
sarà come ziggurat
o come scultura toltechiana
intarsiato
e tra le foglie del ciliegio o del melo
sinfonie dal sapor di terra
più fresca d’acqua polare

Nessuno ti è veramente contro ,
tutto deve avere senso.
Ed è emanato da te in quanto
formidabile nucleo
eterno 鳥居indomabile
da ogni circo
da ogni poeta.

Scava e sorgerai ad oriente,
e intendo dire dentro di te.
Tra le sfumature delle parole d’ogni lingua
mi perdo e d’una m’innamoro
perché se con concentrazione ieratica
saprai fidarti del suono
ti ritroverai a ricordare il leggiadro linguaggio melodico
di tutte le vecchie divinità
dalla pelle bianca
che visitarono l’uomo nell’uomo
e la terra
in remote ere sconfinate troppo a largo
in quest’ammasso diamante
e nel mare dell’anima tua navigherai
commosso e stupito ogni giorno di più,
perché hai visto, sogno per sogno,
visione per visione
quell’isola stupenda dove alberga il mattino.
Ed un giorno ci sguazzerete nudi
tutti quanti innamorati a morte
e con la memoria mastodontica,
guardandosi vi sarà solo
un’imprescindibile affetto
omnicomprensivo
di mani costantemente sorelle

Dal dragone rosso chaos
una piccola bottiglia
con dentro un messaggio,
cos’ero?
cos’ero?
Cosa sono stato?
Qual è la parte di me che tali cose riesci a domandarsi?
Dove arriverà la barca se le vele ha di fiamme
ed il tronco di terra  ?
Quanti occhi ho?

Fosti astronauta
ma c’era una ragazza
che non hai mai capito
se era il tuo corpo ad amarla
o la parte più saggia e storica del corpo
qual è il cor nostro,
Ah le cose che ho imparato
dalle grandi labbra….
Che tutto è una candela!
Tutto è una candela
ed il vero saggio
accetta che si consumerà
-codesta candela-
un giorno chissà quando
e dunque prende la saggia scelta
di farsi ricoprir di cera.
V’era una ragazza nel letto
e fino all’ultimo volle perdersi
costretta a girare lo sguardo,
e sulle sue mani spesso
una plutoniana scena d’amore.
Ed io ho sempre distinto le parti
alcune molto interessanti
altre tanto distruttive e presuntuose.
Ti siederai un giorno a parlar d’essere
e d’orrore
con te stessa
e dunque avrai capito
ciò che anni prima
avevo provato in tutti i modi a dirti
Una volta un saggio uomo
di leone e vergine il torace
di scorpione la coda
mi rivelò ridendo
che ad un certo punto si smette di giocare lo stesso gioco
e ci si allontana
a cinque punte
diretti in un altro antro di solitudine
rognosa, urbana, 
con la fiammella della consapevolezza
che tutti i capelli ti ha arso
.
Ah!Ispettore!
Questa è una delle ultime stanze da controllare,
Ispettore.
Indaghi bene.
Ogni dettaglio lo ponga a vaglio
della sua lente d’ingrandimento.
Noterà, forse,
un movimento frattalico
che s’avvolge e svolge.

Filosofica seconda

Non notare,
non annotare
ma se proprio devi annota
e non accostumarti
a ciò che sei
ma fuori dal corpo


Lungo epigramma circa gli scogli e il mare

O forse non v’è niente forse v’è tutto
non troverete obbiettività
in queste linee.
Dietro una foglia stava nascosta
la Sicilia
sono fiero d’essere nato in questo luogo.
Ti lascerò per ritrovarti,
da una parte all’altra di me viaggerò.
T’amerò per odiarti
per capire che né l’uno né l’altro
hanno veramente a che fare con me stesso vero,
e quando tu donna eterna
t’ergerai dal fiume di tutte le anime
e per la collottola m’avrai preso e scosso talmente forte
da spezzare finalmente i sigilli
-l’ho visto in un sogno-
allora capirò allora capirò

Racconti dalla casa in India pt.3

Un’intuizione di Mercurio
ladro ermeneuta genio
ma anche organo critico
se non ipercritico,
ti chiedo con gli occhi chiusi (spalancati) :
“Sta succedendo qualcosa di vero,
di veramente vero?”
E me l’annuncerai in sogno
condottiera
o principessa indiana
dal dolce viso di perla

Per una volta, solo blu talmente scuro da sembrare nero

Tutto ciò che state per leggere
va con il dovuto rispetto interpretato
sotto la chiave di Fa# minore:

Voglio davvero aiutarvi (e lo farò )
ma è solo una parte di me
con l’alluce spellato
dal troppo calciare via
la vita quand’è nuda
Lo spirito guida il corpo.
Lo spirito guida il corpo.
Ma è solo una parte di me.
L’altra sta a rotolarsi in un fango nero
urla “ NON APPARTENGO A QUESTO MONDO!”
e piange in continuazione
delle lacrime belle come statue elleniche
o templi agrigentini.

A mani nude ti masturberò
perchè sei meravigliosa
ma è vero?
Tutto ciò che è materia è necessariamente falso,
ho pensato per intuizione…..
è per questo che è destinato a scomparire!
Ed allora e le mie dita e il clitoride tuo
in una pozza funeraria cadono
a Sanxingdui.
E se tu nel nulla cadessi proprio adesso,
sarebbe novelle vague di bellezza
e labbra troppo rosse
che abbracciano e baciano
noi cerbero

Voglio solo capire. D’ogni cosa
l’intimo timoroso mistero
far salire a galla.
Eppure è rogna nefasta
tutta la città aggressiva
-stanno uccidendo la natura-
sbocca fumo,
noi con dita lunghe
qui non possiamo far altro  
che diventar sbarre d’una galera che si muove,
accortasi tra le bave
d’essere della materia il contenitore
e non dalla materia contenuto.
E camminerai dapprima sorridendo,
poi sorridendo, sì, ma con la faccia rivolta
verso il cuore e non verso il cielo.
Al cielo, difatti, mostrerai critica tanta critica
per ogni piccolo taglio inferto con silenzio o nel clamore.
E mentre camminerai
il primo uomo ti chiamerà amico dopo neanche cinque minuti
perché è semplice, semplice come l’olio d’oliva.
Il secondo saprà soltanto chiederti dei soldi
ed anche il terzo,
l’uno li elemosinerà l’altro tenterà di estorcerli,
perché il denaro è il loro idolo, il denaro è il loro dio,
il lavoro e la truffa e la dissimulazione il loro templio ed altare,
la materia la loro infinita tomba indistruttibile.
Eppure, siamo tutti figli di mamma terra
di mamma oceano
di mamma universo
e nonostante ciò non provo gioia nel vedervi

Cosa sei tu, specchio alle spalle degli occhi inchiodato
ed io ti vedo ti vedo costantemente
dunque medium tra me e gli altri fuori di me
e lì ti proietti con la luce del mio vero invisibile io,
attonita fiaccola blu
-lacrime scorrono-
che mai cessò
che mai si potrà infrangere
sdraiata pacificata
sul bi eterno disco d’argento rituale
che rotea e rotea e su se stesso s’avvolge e nuota
e con se stesso fa un immenso sesso lussurioso di spasmi.

Voglio smettere d’avercela con voi
per non vibrare nella maniera corretta,
voglio davvero aiutarvi
ma siete misteriosamente ignoranti
e incompleti
attaccati come zecche
all’apparenza delle cose
al melwilliano seeming
e non creerete più niente
così continuando.
Ingoiarlo, codesto mondo,
e di sospetti abbandonarsi in certezza,
la mimosa è di luce alma
e sembra però il Dahaka
Divorarlo questo mondo
a suon di pianto
e in deserti un’oasi costruiremo
tireremo su
sia pure per venti uomini e donne.

Non truccarti ebbene
non truccarti
e fammi vedere quella verità fenicia,
babilonese, persa in quella soda schiena eterna
interna
del tempo .
So che è nascosta lì dietro
e so anche che se non ti sbrighi
non riuscirai mai più a recuperarla.

Mar mediterraneo ti voglio così bene
se le cose andranno per il peggio
pullulerai di demoni
ma tornerai ad esser te stesso
con la tua gigante anima marina.

Ed io cammino e penso
che vorrei non avere limiti
e non smettere mai il viaggio.
Sono tutto, sì,
ma non nel corpo.
Ti sospetto prigioniero,
in un’altra vita, vecchio mio.
Ti calmi e non fai che spiegarmi
che Lorenzo non esiste ma esiste.

I miei lobi,
quelli degli ingioiellati bodhisattva di Longmen,
la loro lezione è preziosa.
Non raccoglierò rancore
per una società
che ti vuole necessariamente incidere
dove sei più grezzo.
Il male non esiste se non dentro di te
ed al di fuori lo proietti
perché ne hai sulle pupille le bende
e fatti dunque per una volta bastare
questa fetta di consapevolezza
che è già enorme
e indizio minuscolo di non so quale eco eterno e universale
che come tamburo di pelle o gong
batte sul mio sul vostro petto.

Ed ero matto. Posseduto da
                                                   cosa?
È benigno, t’assicuro che è benigno.
Librati. Eri matto.
Le dita solleticavano cosmi,
l’apocalisse è un nome d’ombra
tatuato su una lunga seppia
che è l’alba 

mercoledì 6 luglio 2016

Sulle rive del fiume Ajiravati

Ma sulle rive del fiume Ajiravati
mi sono seduto
e sassolini provavo a lanciare
e non m’ero accorto della melancolia
sottesa al rosso delle foglie.
Sulle rive del fiume Ajiravati
Maya stava per non fare in tempo
mentre uno dei suoi prediletti
se ne andava via dal samsara
col viso e le mani radianti la luce cosmica

……e noi siamo insignificanti agli occhi dell’universo
eppure ognuno di noi è un dio.
Siamo insignificanti sfere di candore
e vaghiamo automatici nelle reazioni della nostra personalità
a volte riuscendo a protendere le braccia nostre
verso il corpo d’un altro .
Insignificanti e d’una pervertita corsa alla malattia
e al pandemonio
avremo tutti a breve
la punizione che meritiamo.

E sognavo un gesto di stima
manifestato da te a me
ma è solo un sogno
poiché benedetto ci hanno
con la maledizione nera
della separazione
ed adesso separata è l’anima dal corpo suo
(temo che questa dicotomia sia necessaria
qualora ci si appresti all’indagine della verità),
l’uomo rosso dalla femmina blu
ed ogni braccio dalle dita staccato,
come per scelta o per magia.

Sulle rive del fiume Ajiravati
suonavamo violoncelli saturnini
e l’Arcano XIII, senza nome, mieteva
carne
di carne lui stesso vestito.
La luna diventò rossa ed urlai “è giunta l’Apocalisse”
mentre sentivo già le vostre bellissime donne lacrime
scorrere sulla mia spalla.
Il cuore sotto al petto un tizzone
purtroppo è solo latore di funeste domande
e l’anima vuole annusare e comprendere tutti i fiori
del giardino
ed ogni animale accarezzare
perché riconosciutasi attimo, semicroma nera di Re
in una sinfonia che non ha mai smesso,
momentum infinitesimale e unico.
Che importa la direzione che avrà il vento
quando arrufferà i vostri bellissimi capelli di terra?
Avrete comunque la bocca aperta, lì, pronta per riceverlo.
Che importa se siete come acqua sul pavimento
d’incontrollabile Caos ed espansione?
Qualcuno proverà inutilmente
con mani dolci o severe
ad arginarvi e mai riuscirvi potrà.
Sulle rive del fiume Ajiravati
è caduto un Dio, è morto un Dio,
era il quindici ottobre o il quindici febbraio.
Sulla spirale di cause e conseguenze
riflettere non fu più possibile
perché tutto era diventato luce.
Ci amammo solennemente, più muti d’un mausoleo,
più assisi d’una conifera, più verdi d’uno stelo,
pensavamo d’essere per la prima volta noi stessi
ma tra i flutti di quell’acque
i piedi diventarono il sinistro uno sgombro
l’altro un palammito
e nuotarono via fino all’oceano indiano

Il Ferito

Il ferito,
vuoi interpretare questo ruolo
ed allora scivoli dal tettuccio della macchina
e ti spacchi la faccia
ed il polso sinistro
che per giunta ti eri già rotto
giocando a calcio da Gambino
in quel di Viagrande.

E t’importa, Sir Fosforo,
di fare scandalo
d’esser scandalo tu stesso
e piangi e sei sporco di sangue
ma non sei guerriero
mai stato
se non nella ψυχη
contro la ψυχη
per la ψυχη

Vortice, tifone, uragano.

Il cuore una spugna tutta inzuppata
perchè sei doppio, triplo, quadruplo.
Hai cercato quel legno di barca
per alfine trasportarti in mare
perché il mare è omnicomprensiva madre di tutti gli esseri viventi
organici e inorganici,
e allora lo senti, il tuo mare?
Quando è successo, subito hai pianto
e subito hai creato
come se questi due movimenti
fossero logicamente conseguenti,
la lacrima e l’inchiostro.
A dirla tutta otterrai
un infinito che fugge le unghia
che le spezza di continuo
e quindi non ti ci potrai mai aggrappare.
Quel mare di cui sopra,
quello ti separerà sempre dagli altri mari
vicino a te.
E ti salvi per il rotto della cuffia,
lo zigomo desto contuso
l’alma mai scemata via.

Poi altre volte aristocratico egotista
ti perdi in un bicchier d’acqua
credendolo l’oceano,
in un fisico e materiale bicchier d’acqua
tutti ci siam perduti nudi.
Per il grane vortice di me
e della memoria mia,
ma anche per te vecchia amica
leone ascendente scorpione ,
per il tifone del contesto
per l’uragano dentro i piccoli
sedicenti poeti.

E chi sogna e ricorda il sogno
è costantemente inconsapevolmente
lì, a Delfi,
chi dimenticato non ha il matto scorrere
del tempo interno
e i volti dei cadaveri massacrati degli eroi.

Per il vortice, o santo vortice,
che braccia e gambe hai separato dal torace
che torace hai separato dal cuore
che l’intero organismo
hai voluto allontanare violentemente
da quel bellissimo straordinario Albero
sotto un carcinoma di finti dei grattacieli.

Per il tifone
che s’è portato via i padri
ed i pezzi dei padri dentro ai figli
e adesso del fuoco d’una maturità
d’un’adultezza
li avvolgi, li culli,
li inscheletrisci,
dire che il samsara nostro è l’inferno
è solo spontaneo
ma gioiscine, abbi gioia!
È tanto sbagliato non dar la possibilità
alla vita stessa
di spogliarsi di fronte a se stessa
per notare cicatrici o bellezze
che prima viste non s’erano.

Per l’uragano che fu
che fu
che ci fece cadere, piombare
liberi
in un corpo di catene d’acciaio.
Caro uragano di lacrime
fredde o calde
sei per i vivi una lapide
a monito posta
grazie vecchio uragano rosso chakra
che già m’hai rassegnato al melos,
all’albos, al rubis.
Che già m’hai rassegnato
al nero/bianco della sconfitta
dolce come zingara o zagara
in maggio.

Seconda poesia ebbra

Viaggiavamo bui al contrario
in uno spazio rettilineo
ed al contrario
continuavamo ad urlare.
Lorenzo, Giovanni, Gioacchino,
animali, polimorfi, saggi, sciamani.

Sul tetto v’è una vita migliore
sublime
sublime!!
Sei Toth e tutti gli altri dei!

Mia figlia Psiche, pt.2

Caos. È primitivo il Caos,
e m’abbraccia,
voglio vivere come un anarchico, professare.
Voglio vivere con gli anarchici in una tribù,
in una vecchia autogestita polis.
E le guance rosse delle bimbe
e le lacrime a fiotti.

Totalmente libero è solo dopo la morte,
devo piangere ed urlare
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
PSICHE DOVE SEI FINITA?
FIGLIA MIA MAI CONCEPITA,
DOVE ANDASTI?
In una notte di trecento lupi
e non facevamo che sbraitare e ringhiare d’allegria
alla luna
maledetta femmina immensa e bianca.
Psiche mia che saresti dovuta essere solo
materiale e deficiente
e sei cresciuta con tanti fratelli
storta e ridicola perché vera e grezza,
mascalzona, secchiona,
invecchierai e finalmente giungerai
alla fine del libro.
Toglimi di queste catene
l’aspetto più sociale,
io non so più cosa non sono.
Finirò scalzo introiettato dentro il buco nero
dello spirito
e voi proverete a toccarmi lente o veloci
-questo periodo potrebbe non finire mai-
**********************************

Di nuovo nella testa
sono passati anni
e fuori dalla testa
solo pochi minuti
come un infinitesimo cosmo, il migliore.
Non ripetere gli stessi errori di sempre,
vecchio mio.

Cosa morderemo, una volta felici?

Cosa morderemo, una volta felici?
Il maltempo, il buon tempo, le basse vibrazioni…
ma non l’estasi!
Eterna, inafferrabile.
Chiarisci i tuoi eccessi e la tua immagine apparirà allo specchio,
come per magia

Saturnina seconda

Un triste crescendo
oh la solitudine
oh la solitudine.
Ho sognato quattro notti di fila
un’apocalisse diversa ed ho paura
oh la solitudine
oh una piantina d’Avocado
sta finalmente venendo su.

Cosa cambierà dentro di te
che prima volevi combattiva liberarti dal contesto
e adesso sei tornata nel contesto
come le madri casalinghe
più borghesi e superficiali
della nostra bella italia.

Luna non ti sporcherò mai più
parlando di chi ha preso le sue lacrime
e le ha tutte assorbite alla sabbia più arida.
Luna saltelli e vai via ma sei dentro di me da sempre
gradito ospite d’immensa ricettività.

Ed è passato un attimo
e sono cresciuto.
Tutto ciò che è fatto è fatto
ed è la sicurezza più grande, questa.
Ma il passato lo contengo tutto io!
Il passato e la storia, li contengo io dentro di me,
per quanto l’estensione fisica sia ridicola.
Così, come un dolmen, come un menhir.

Perché questo rapporto col mondo ti salverà la vita,
nonostante saturno si ergeva
contro di te
e contro tua madre.

domenica 3 luglio 2016

Huysmans, parte sesta

Nello specifico, di quando la morte venne a trovare noi e Huysmans.

Tanto dolore in quella casa che prima era una gioia,
dolore che in altro dolore sta per crollare.
Non voglio che quella parte di te scompaia, amico mio,
non voglio che di te quella meravigliosa parte scompaia.
Al contempo ho il sospetto che per tanto tempo
un dolore d’agemina intarsiato
abbia nutrito il mio viso femminile
ed adesso anche quello maschile.
Piccola mia non terminerai mai di sognare l’estasi
e di sperimentare la lunga e bellissima sofferenza.
Gioisci, tutto ciò che esiste è d’amare,
ma il percorso d’oro e di mirra
è il ventre maestoso d’una balena che muore immensa.

La morte s’impegnò a costruire qualcosa di vivo,
a partire da quella fresca sera di fine maggio.
Sì, si era levata finalmente il cappuccio
e la falce aveva appesa al chiodo.
Si tirò su le maniche ed imparò a mettere un mattone sopra l’altro,
tutti di legno,
e fu gioco bambino per lei delizia di fiori
di cui aveva sempre avuto paura.
E costruì una torre con un immenso giardino
e in quella tarda notte
scelse di venire da noi a presentarsi,
noi che tra dolore e sconforto; oppure
eccitazione baccanale, adrenalinica, sudare;
l’avevamo da sempre scartata dal gruppo,
ritenuta un essere diverso
e per questo esclusa o addirittura
presa in giro alle feste.
E venne da noi e con lei bevemmo e fumammo
ed imparammo a giudicarla immensa amica e maestra.
E lo stregone Huysmans, che c’era tutta la sera stato accanto,  (aveva messo a disposizione la sua casa
di nobiltà decadente per quell’evento),
la guardò con d’ amore gli occhi pieni
e la riempì di complimenti
perché da sé Thanatos funesta e fatale
aveva estratto con troppe troppe lacrime
qualcosa con un cuore che batte vivo, verde.
E mai più si organizzò una festa senza che lei
non fosse tra i primi invitati,
e ci perdonò di averla in passato sfottuta
autorizzandoci comunque a prenderla in giro di tanto
in tanto, per sdrammatizzare.
Ce lo disse col sorriso straripato in quella vecchia testa bianca,
e tra le mani le mani di noi tutti.

Favola d’Indra e del giovine

E ricorda, ricorda ciò che il deva Indra
al giovine disse: “ Tutte le cose che compongono l’universo
sono transitorie….” ma lì si interruppe.
Ed allora, il giovine pronto ad ammazzarsi era
pur di sentir completa quella frase.
E mentre cadeva non si accorse
che Indra con lui solo voleva giocare,
e disse dunque: “ Trascendere la nascita e la morte,
quanto è beato l’assoluto!”

sabato 2 luglio 2016

Favola d’Izanami e Izanagi

Izanami se n’era andata con quella sua
stupenda boccuccia di labbra intarsiate,
dea come mille fiori disposti a loto
e teneva per mano Izanagi,
fratello e compagno,
testimoni divini ed infallibili
figli di chissà chi chissà che cosa.
Di luce stupendamente magnificamente
e di seta vestita,
generò Acqua, Montagna ed Albero
e li guardava con tutto l’affetto del mondo.
Ciò che non sapeva era di contenere anche le fiamme brucianti,
e quando Fuoco fu generato
il di lei corpo il colpo non resse
e l’ammazzò dall’interno di quell’utero ingioiellato
ardendola viva.
Anche per il seno di una dea v’è dunque un marcire lento,
nero, un inferno dove nascondere la bruttura
d’una materia che muore.
E lei pianse e celandosi al mondo
voleva che Izanagi non vedesse
non sapesse non notasse
la sua pelle non più di ciliegio fresca
di sakura rosato ornata.
In un antro dello 黄泉 (Yomi)
avea già mangiato il frutto
di chi scheletro è rimasto
nell’attesa d’un’impossibile bellezza
che non finisce.

E Izanagi non seppe nulla fintanto che
il vecchio pettine della compagna prese,
lo accese come torcia
e, coraggio nel cuore,
nell’antro discese del giapponese inferno.
Lì la trovò,
di mosche e vermi adesso adombrata e vestita,
lacrime convincenti dalle cavità del viso
sgorgarono a fiotti.
E solo la prima donna seppe piangere così,
solo la prima donna poteva tanto soffrir di Aisthanomai
la scomparsa,
ed insieme ricordarono
quando danzando s’abbracciavano  e toccavano
tenendo in mano la 天の瓊矛 (Amenonuhoko)
l’alabarda eterna che il mondo creò
mescolandolo dal mare,
e di quando sul ponte tra cielo e terra
altro non fecero che amarsi ed ansimare.

Ed Izanagi le urlava “lutto e separazione, accetta
d’esserti trasformata e lo accetterò anche io!”
ma lei non riuscì non riuscì perché fino in fondo donna.
Ed allora, di mosche e vermi vestita,
s’alzò in un nuovo splendore mai memore del vecchio
urlando femminilità rabbiosa ed irrazionale
e non sapeva se avrebbe di più desiderato
che lui di guardarla smettesse
o che lui almeno all’inferno
accompagnata l’avesse.

Ma fuggendo via quella morte amata
verso la vita
come d’Orfeo un precursore
nello Yomi volle imprigionare
quella parte del suo dio cuore,
a memoria di chi non ebbe la forza
per accettar del proprio destino la triste evidenza.
Vide il sole e volle il suo dolore lavar via
con le acque del fiume Akahira
e con quell’acqua dimenticar quei vermi e quelle mosche
visti dalla luce del più bel pettine che il mondo avesse mai visitato.
E mentre con Izanami anche d’Izanagi un pezzo
fu per sempre perduto,
lavando sudore e lacrime con di quel rio l’acque
inconsapevolmente
aveva dato vita
al giorno e alla notte,
femmina bianca papessa Amaterasu,
caldo e seduttore notturno demonio
Susanoo.