sabato 2 luglio 2016

Favola d’Izanami e Izanagi

Izanami se n’era andata con quella sua
stupenda boccuccia di labbra intarsiate,
dea come mille fiori disposti a loto
e teneva per mano Izanagi,
fratello e compagno,
testimoni divini ed infallibili
figli di chissà chi chissà che cosa.
Di luce stupendamente magnificamente
e di seta vestita,
generò Acqua, Montagna ed Albero
e li guardava con tutto l’affetto del mondo.
Ciò che non sapeva era di contenere anche le fiamme brucianti,
e quando Fuoco fu generato
il di lei corpo il colpo non resse
e l’ammazzò dall’interno di quell’utero ingioiellato
ardendola viva.
Anche per il seno di una dea v’è dunque un marcire lento,
nero, un inferno dove nascondere la bruttura
d’una materia che muore.
E lei pianse e celandosi al mondo
voleva che Izanagi non vedesse
non sapesse non notasse
la sua pelle non più di ciliegio fresca
di sakura rosato ornata.
In un antro dello 黄泉 (Yomi)
avea già mangiato il frutto
di chi scheletro è rimasto
nell’attesa d’un’impossibile bellezza
che non finisce.

E Izanagi non seppe nulla fintanto che
il vecchio pettine della compagna prese,
lo accese come torcia
e, coraggio nel cuore,
nell’antro discese del giapponese inferno.
Lì la trovò,
di mosche e vermi adesso adombrata e vestita,
lacrime convincenti dalle cavità del viso
sgorgarono a fiotti.
E solo la prima donna seppe piangere così,
solo la prima donna poteva tanto soffrir di Aisthanomai
la scomparsa,
ed insieme ricordarono
quando danzando s’abbracciavano  e toccavano
tenendo in mano la 天の瓊矛 (Amenonuhoko)
l’alabarda eterna che il mondo creò
mescolandolo dal mare,
e di quando sul ponte tra cielo e terra
altro non fecero che amarsi ed ansimare.

Ed Izanagi le urlava “lutto e separazione, accetta
d’esserti trasformata e lo accetterò anche io!”
ma lei non riuscì non riuscì perché fino in fondo donna.
Ed allora, di mosche e vermi vestita,
s’alzò in un nuovo splendore mai memore del vecchio
urlando femminilità rabbiosa ed irrazionale
e non sapeva se avrebbe di più desiderato
che lui di guardarla smettesse
o che lui almeno all’inferno
accompagnata l’avesse.

Ma fuggendo via quella morte amata
verso la vita
come d’Orfeo un precursore
nello Yomi volle imprigionare
quella parte del suo dio cuore,
a memoria di chi non ebbe la forza
per accettar del proprio destino la triste evidenza.
Vide il sole e volle il suo dolore lavar via
con le acque del fiume Akahira
e con quell’acqua dimenticar quei vermi e quelle mosche
visti dalla luce del più bel pettine che il mondo avesse mai visitato.
E mentre con Izanami anche d’Izanagi un pezzo
fu per sempre perduto,
lavando sudore e lacrime con di quel rio l’acque
inconsapevolmente
aveva dato vita
al giorno e alla notte,
femmina bianca papessa Amaterasu,
caldo e seduttore notturno demonio
Susanoo.

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