sabato 1 settembre 2018

Ultima poesia per Rusty


Ultima poesia per Rusty

Tempo grasso signore cieco.
Io, un tarocco.
Sopra di me bianco specchio.
Nella mente ho tentato sovente
un veto al perché,
l’accesso al reame di cagione nulla
a cagione
di una ricerca infinibile.
Il vero diario giace nell’asciutto
più secco, nel sugo ridotto a crosta
in padella
la penna più fluida
nel sorriso minimale,
luogo che più di tutti rasembla
un eterno più vago
più androgino fuoco.

Che la tua forma avvizzendo
dia luogo
a una forma.
Dalla forma non potresti
scappare
mai.
Ciel blu, soldato iracheno
che danza,
costola rotta di migliore amico:
il suono è via sino a che
forma avvizzisce
e non resta altro
che pietra invisibile
incastonata
in una nuova incoerenza.

Mia madre aveva rughe e bianchi capelli,
custodiva serena l’anonimo mondato segreto
del parto.
Ho bevuto il suo latte per due lunghi anni.
Lei piange, permeata.
Pinna di squalo infettata da parassita
sei bella così,
Natura ci vuole infetti
e solo così siam belli.

Rimasti piano ad ascoltare
il fruscio assoluto
del bisogno:
ruscello stravagante
o pianta, sì,
ma ricordo di esser
solamente soli.

Sappi che ciò che percepisci
ha la strana forza
d’infiltrarsi in te e sostituirti
come un velo,
un malanno è ogni senso: tu non ascoltare, 
non vedere, non azzardarti a toccare!
Obbligato a vedere, toccare, ascoltare,
sappi che ciò cui ambisci
già trema di noia, cavaliere.
Non ti rimane nient’altro che
reazione e stimolo,
pugnalata e sangue,
montagna ed estasi,
amore mio e cuore che batte assai forte.
Sei macchina, meccano. Imbastito
dalla vita cavaliere
fino a forma nuova. 



Addestrandoti per diventare fuoco,
oh, la luce inghiottirà
più avida di bocca che canta,
di nero buco
e sarai così il fuoco
brucerà in te
come oblazione
la pelle dei tuoi cari
ad importanza nulla.
Sabato ho percepito delle strane cose:
l’amore in me ha vacillato
per la terza volta
e respiravo lento
ogni sale in ogni vento
latore di uno strano
balsamo sacro
spalmandolo sul petto
potevo poco a poco guarire
i tagli nei miei bronchi
ed ero assurdo.
Assurdo e ondeggiante
immagine nello specchio
arancione
del caldo fuoco.
Sai, ogni cosa s’assottiglia ad essere
codesta fiamma,
conosciamola infinita
senza poterne vedere
una scintilla.  

Ci si ritrova incastonati
in un lurido asfalto,
metro dopo metro
l’uomo ha sputato il dente
è fiorita serena in una notte di luglio
la regina
per afflosciarsi il giorno
e nessuno l’ha osannata
nessuno l’ha pianta.
Ci si ritrova timidi
nel pelo di un gatto assurdo
(ogni io è assurdo)
come pulci assetate
sudiamo
e riponiamo
il fallace fallo
in un vaso usato
rubato all’amico che dormiva,
stai. Stai.
Lo scheletro è una foglia
la nervatura un midollo
e albero è il tuo cuore verde .
Stai. Pecca. Dividi la realtà con
quelle lame negli occhi,
avrai del tuo sangue
una calda speranza
fino al sonno.

giovedì 28 giugno 2018

Mezz'estate


Frusta bagno azzurro
colava dal davanzale
attaccamento morboso
e verità mai.
Finalmente si son separati,
e verità una volta sola
a mezz’estate
quando il ciclope
ha più caldo
ed è propenso a bere
del buon vino
e confessarsi.

Tutti gli affetti sono
un cespuglio di bacche
ricolmo di odori
brucia e mai si consuma
attende d’esser maturo
per cadere
il figlioletto,
l’arancia deforme nell’arancia
bella.

Calci e pugni e peti vigliacchi
l’unica vita è questa,
questo risultato
di conseguenze
non più evincibili,
calciatore povero in uno stadio
deserto
che rincorre il suo occhio e orecchio.

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Parte 2: 


A mezz’estate
tutto si perde nell’urlo
nella porta sbattuta
O Spettacolo
che prima eri un momento,
bocca di calabrone
su campanula tesa
ora fiore è floscio
imbastisce dal ricordo
una via di ricordo
che non si recupera
o sale e cemento.
Spettacolo che tu abbia fine
che l’ennesima fine
diventi
stadio
in un processo invedibile.

Fame avevamo ,
e gola blu,
e iniettato di sangue
era l’occhio destro
del ratto:
la mia vita può solo esser questa:
mattino pregato di non far sera
fa sera in un ghigno
e noi siamo
giunchi piegati dal vento
opposti alla natura
o sacrosanti calici
bevuti dall’invisibile.  

E allora uomo meridiano
nell’invidia ortodosso
rimani briciola travestita da re,
minchia travestita da palazzo
verme a forma d’eroe:
il fiume è diverso da te
benedetto nella sua scorrevolezza
parla e tace in simultanea.
A lui più di tutti
è dato il compito di non fermarsi,
di non restare
ma otturandolo
lo comprendiamo
o disseccandolo
di sale.

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Comunque non parlare col problema,
parla di lui piuttosto,
della sua inebriante
flessuosa
lentezza,
di come poneva
in ogni tuo affetto
le mani
per soggiogarlo
a trasformarsi.
Non si conosce
la permanenza
delle cose.
esso sono impermanenti
come lo è una guerra.
Conquistato il forte
si volge la capa
dietro
alla pianura,
al campanile,
al monte
tirato in esso
come fulmine,
all’azzurro dell’aria.
Questo in particolare
lo si vorrebbe respirare tutto
in un fiato
ma polmone è sguercio,
lacerato come vela
di nave pirata
dal timor d’impazzire.
Forse perché la sua famiglia
come una spada
ha insegnato
a dividere le cose
destabilizzandone
la quieta unione,
grottesca
la caverna
è diventata
grottesca,
piena di macramè e cristalli,
dipinti a dita
e sogni,
rugiada
e acqua blu
salata e dolce.