martedì 29 dicembre 2015

Armadillo (o altra poesia importante)

Armadillo (o altra poesia importante)

Prenderò il mondo per mano,
ma non dal di fuori.
Voglio toccare la terra dov’è più marrone
con la lingua ascoltare cosa dice

Sto cambiando, ancora.
La realizzazione dei desideri

Avrò carisma
avrò stile
ma senza più criticarne l’utilità,
comunicherò in maniera il più possibile
plastica e chiara
l’infinitamente più importante
mondo dentro

Un acquerello
fin quando tu non scappi
e vederti da dietro lontana.

Come continuare il libro
se all’amore
dentro sussegue sempre
questo legame carnale
con un infinito
impossedibile, inavibile?

Cadrà l’intera scogliera
sarò lasciato
circondato da picche
di simboli manifesti

Volevo essere acqua
e non solo terra,
confesso.

Tutta colpa di Pirandello
che mi ha preso per il collo dalla tomba
e m’ha fatto vedere il fiume
tanti anni fa

Eppure il cavaliere
ancora innalzerà il suo stendardo,
“L’ho fatto per esistere!” dirà
“L’ho fatto  per avere anch’io
un posto
nell’anima o animus al di fuori di me”

Gli altri non saranno più
solo una posticcia audience
da ammaliare annoiatamente
o uno specchio
per via del quale
la grandezza
la bellezza androgina
si rafforza e si vede.
La vedrò da me e da me la scolpirò

Ansia mia sveglia serpe
come maelstrom di chimere
nel cardias
ho capito che forse posso
riuscire a comunicare con te

Dislocazioni non scritte a parte,
stai male, sei come
un’ombra
in grado di generare altre ombre

Carla sembra collocata
in un momento così lontano
e idiota…..

La mente mi si è allungata
e non posso più
completare un giro di essa
velocemente
come una volta
*********
Imparando a concedere te stesso
al mondo dentro ed al suo doppio
che è quello degli occhi
sarai in grado di costruire entità
in entrambi 
di collocare a piacimento
nell’uno o nell’altro
l’impegno e l’energia
di creare colossei di brina
che nessuno digerirà mai
pur essendone tutti
illuminati,
vecchio Sir.
*********
Astri immensità esposti
sulla mensola dello spirito
in una teca d’arcadia
nell’altra metterò
la giacca
ed il mio aspetto allo specchio

Arpa andata per campi
accordata al corpo
e capace di appunto
tenere ferma la realtà 
con le corde tese
finalmente,
attratto e spaventato dalle sensazione
il camaleonte buono
si muoveva tra foreste di colore.
Non aveva capito che era bianco.

Correre per cercare l’essenza
ha senso,
ma senza permettere all’idra
di mangiarsi la realtà.

Il mondo esiste!
Il mondo non esiste!
Il mondo esiste!

Accorgiti del liquore
dei suoi suoni.
Adorare è bello
ma devi anche tu
risplendere.
Risplenderai, dunque?
Avrai la forza
d’accenderti?
Ma non in una folla,
non in una folla!

Il ghiacciaio spaccato.
L’ossatura del cuore
dell’armadillo d’ebano.
Il suono che hanno le cose.
Tutto è da percepire,
anche io stesso!
Accusando tutto questo tempo
la realtà
di non esistere
avete, sir, posto anche voi stessi
in uno stadio di subordinazione
rispetto al non-io.
Il suo valore, ora, mi appare innegabile.
Vivrai abbracciandolo nel tentativo di assorbirlo,
non allontanandolo.

Che poi qui intorno sia un circo di maiali
fagocitanti natura inneggiando,
questo è innegabile.
Ma fiaccole brillano alla sommità
dei visi di questi uomini qui, sir,
e questo basta : il candore.

Trittico con abside, segni scritti in sanscrito, mio padre e mia madre

Trittico con abside, segni scritti in sanscrito, mio padre e mia madre.

Triplo abside lo so lo so che sei vero,
quando mia madre generò il mio tempo
a partire da congegni di legno simili a clessidre
li teneva danzando di stracci vestita,
ed io circondato da feti col cordone sospeso
al centro
nudo.

Nel secondo segni alle pareti dorati mi ricordavano l’india
e mio padre stava a guardare

Ho potuto provare tanta paura
di fronte
al mare in tempesta
che nebbie celavano quasi completamente
ed io fumando non capivo neanche

Ma che Carisma posso avere io mai?
Posso farmene una colpa?

È che cresciuto in un circo
in cui la volontà di potenza
era una continua
manifestazione marziale di lotta,
quella lotta è poi diventata intestina
e vagamente riconoscevo me stesso
tremare come un filo di carne
nei secoli dei secoli

lunedì 21 dicembre 2015

Sir Fosforo strikes back

Sir Fosforo strikes back
(o breve componimento per Eraclito)

E invece, e invece e invece,
parlando del desiderio di voler morire
contrapposto però a quello di Psychosis 4.48,
ci sarebbero tante che dico tantissime cose
da sviscerare.
Prendi lui, ad esempio, con la sua giacca di squame
e tante coppe appese al collo per ricevere
per accogliere
per abbracciare.
Prendi lui, ad esempio, emissione ricevente e non mittente
che conosce la propria intima grandezza- derivata
dall’aver compreso l’assurdità connaturata
alla condizione d’essere tutti
la stessa triste anima/io
racchiusi come acciughe acitane-
e tuttavia di questa grandezza non si fida,
vuole metterla alla prova attraverso il contrasto,
come farebbe Ares, come farebbe Eraclito,
perché è tutta sua è tutta di tutti
ma non la sa e non lo sanno.
Prendi lui, ad esempio,
esaminalo nel momento in cui la morte è il desiderio
di comprendere è il desiderio di comprendere e nulla più
si è stanchi di non comprendere d’altronde
stanchi di stupidità innata
che rende il cervo capace
di piegare le corna nonostante il dolore.

E invece, e invece e invece,
parlando del marciume sociale, sì.
Argomenterò una tesi non specificata
facendo diretto riferimento ai miei occhi patinati di brina.
In particolare, porto in esempio
questa iena dalla pelle più liscia di Sir Philip Sidney,
che voleva nella foga di sesso e dolore
rincontrare l’Animus, il Daigomi, il Piacere
ciò che c’è di caldo in un vortice
e di messia in un apocalisse.
Non solo: La iena cercava dunque
in un mondo tutto maschile
l’attuazione di un sentimento già maschile
e la realizzazione di un’Anima dimenticata
nella polvere delle piccole labbra.
I fiori non erano decadenti lacrime di freschezza
o polline che s’accumula ai lati delle ciglia,
scegliere in tentazione la spada e non lo scudo,
farsi prendere per farsi accettare
ma non come entità indipendente seppur iena
pensante, emotivamente creatrice, no!
Come semplice dannato pezzo di carne.
È pur sempre il prezzo da pagare
per la ricerca del proprio dio, me ne rendo conto.
Tuttavia, l’ipotesi che la divinità sia solo
un idolo innestato a forza nello sterno
dalla pressa a fuoco del tintinnante rumore della società
è da irrinunciabilmente tenere in conto.
Ed è questo il consiglio che esce fuori dalla boccia del pesce

S. Agostino che ruba.
Piccole velate oceaniche teste di donna,
dove sono nato? Sono nato?
Non ero anche io
solo un piccolo Mi minore
lanciato lì a caso
nella sinfonia?
È la dolcezza è la bellezza
che sono rare inesistenze applicabili
in circostanze estremamente circoscritte
come il dolore o la bile nera.
Da sotto il tuo elmo non vedo altro che tuoni.

S. Agostino che ruba.
Foce e alla foce lava
le scarpe non ci serviranno.
S. Agostino che ruba e intendo l’acqua dal mare
con le sue vecchie mani nodose

Condannati ad un semplicissimo rituale,
parlo della memoria.
Quando ti snodi tra arpe
e puoi afferrare con certezza
non un misero maledetto digitus
ma la compresenza, ascolta bene, la compresenza
del tempo
come un’ amalgama di passatopresentefuturo
in una successione di velocità impercettibile.

Da qui la saggezza, un generale
che non veste divisa e non conosce
il saluto militare.

Veramente, vorrei con sangue ed ossa
poter tirare fuori il vero petto
dal petto,
questo muscolo d’oro colato
temo che potrei
non farcela
a ricrearlo sotto forma
di essenza sensibile
di messaggio vitreo per gli occhi,

la statua da spaccare la spacco
e ancora non svela
mentre mi aspetterei di trovare sangue
trovo solo significanti e i relativi contenuti
ma anche qui non c’è per niente da fidarsi
e allora
si potrebbe supporre dunque
l’inesistenza di una motivazione
ma ciò renderebbe lo sdraiarsi immobili per terra
l’unica cosa sensata.
Sir Fosforo
non ebbe tuttavia paura di ripetere il giuramento imparato sui libri
e decise
che non avrebbe avuto paura di recidere qualsiasi cordone ombelicale
si sarebbe frapposto tra lui e quel tesoro che un sogno di un febbraio dimenticato
gli aveva già fatto vedere.
Indossando l’elmo si accorse che sudava e si tolse l’elmo.

giovedì 17 dicembre 2015

Nel bicchiere d’Alceo

Nel bicchiere d’Alceo

Aver perso di vista il centro
aver comunicato, lucertola,
il centro del sole in un taccuino
in un declino
di matte immagini casuali.
Tutto ha senso
tutto non avendo senso,
coda che sbatte
su una testa di polvere verde smeraldo
e separando
la muffa dal cervello,
l’avvizzire di dio
dal dio interiore,
gli agnelli dalle arieti
i vitelli dai tori
e così via.
--Nel frattempo
vino che non era stato miscelato
vortica nel bicchiere d’Alceo,
vi sono finestre a forma di Noia
o, all’estremo opposto,
d’Estasi

Il tulipano
l’elefante
l’hashish
l’oltretomba
Montale
il tempo

Così disperso,

cacciavite che non avvita,
sesso e testa conica
per d’acutezza penetrare le vita
insieme ad un paio di corna
rivolte verso il basso

Possesso non possesso gelosia
salvia
rosmarino

Animali in catene
sorridi, sorridi,
col tallone provi a scalciare via
te stesso dalla mangiatoia,
presto sarà il corpo
il mangime
il corpo e la mente

Così divorate
ed ammaestrate a divorare

Vortici fiori blasfemia
un tunnel
e ti porterà
dove l’uomo non è coglione
dove non serve il Natale
o la giustapposizione
di libero pensiero e pubblica
offesa televisiva
difesa come da un milione
di denti d’idiota
di cosa parli, profeta?
Hai forse preso il tuo bastone
che un tempo
altro non era
che il principio stesso di luce e di buio
e addosso l’hai messo
dietro al collo sulle spalle
a mo’ di gogna?
Di cosa parli, profeta?
Con orecchie canine
il fallo in mano
è volontà di potenza solamente cieca
se non è contrapposto
alla variegata immensità di dettagli
di questo telaio.
Capisci, illumina.
Capisci, soprattutto.
Poi potrai illuminare.

Ma cosa?
To shed light on what?

Irraggiungibile la mano
che dal futuro
nel futuro
rivela una possibile felicità dinosauro
che non sembra questa volta coperta
dal rosso drappeggio del palcoscenico
né impacciata da stracci

Tanto per non fare dietrismo

Tanto per non fare dietrismo

Scolpirò di spalle
te o l’universo
girato di spalle anch’esso
****

Altro tempo trascorso
a mangiare tempo
mentre non è realmente passato nulla,
voglio ancora fluttuare, patire.

Ricorda,
chi grande è stato
aveva solamente un gran bisogno
di sentirselo dire
fuori dalla testa,
vale tanto per Carlo Magno quanto per Rimbaud.
Confermare il sospetto
nell’altrui lode.
Dopotutto, avresti tu il coraggio
di dire di sì al solipsismo, al sigillarsi
chiusi in un mondo senz’occhi?
Non è che l’esistenza è a priori
confermata dalla luce che su di noi
riflettendosi
ci rende visibili?

Dal muschio si è dilatato
un certo alone di fuoco misterico, siamo o non siamo?
Ed un ruota alla quale
incatenati
e stiamo correndo troppo lontano
nel giro di breve fiaccola
e il contesto e il cotesto scompaiono
lasciandoci vittime
di un incompleto e frustrante nirvana

Ordine! ORDINE IN SALA!
urlò un mistico
vestito da direttore d’orchestra.
Così tutti s’apprestarono
a disporsi
per come lo si riteneva appropriato,
ricostituendo un ordine dunque
basato sull’intrinseca spontaneità anarchica
dietro ai volti, agli stomaci, alle schiene.


mercoledì 9 dicembre 2015

Solitude vademecum cervo cipolla cancro e rum

Solitude vademecum cervo cipolla cancro e rum

Un cuore scarnificato isolato
mausoleo di cristalli colorati

Tanti tentacoli avvolgono
tutto e tutti, pianti e risa,
la Sicilia.
Quest’oggi fu sibilo lacrima onesta
gettata per commozione
vedendo Squall sorridere finalmente, prima.
Poi, fu me stesso
il maiale con gli occhi chiari
legato ad un corpo
che ulula emozioni
incomprensibili,
la voglia d’esser masticato
come un chewing-gum
dalle dee di questo pantheon,
d’esser preda
preda degli eventi
preda degl’occhi degli altri,
d’esser trovato e mai cercato,
cullato,
armatura
colpita con estrema delicatezza,
eppure vi è un Rimorso,
il paladino della luce
vecchio pezzetto di merda
eroica
che ha ancora la forza
di alzare
lo scudo e la spada
contro il demone scimmia
dentro noi tutti.

Salvo poi considerare
questa prospettiva
come gabbiano cieco
che naviga per arie meravigliose
pensando di trovarsi
nella spazzatura.

Vedi, vedi mia cara?
È uscito fuori, alla fine.
È stato come cagare,
come andare a pescare.
Di colpo l’alba splendeva
di nuovo
e vidi chiaramente
quanto è rotto questo specchio qui.
*****

E tutto dunque ramifica
dalla commozione.
Commozione.
Iride scalza ai piedi di una pancia bianca,
capisci d’essere un ciottolo
e t’acquieti,
pur pestando maledicendo
l’estasi,
l’estasi essendo ὕβϱις.
-Una lotta sempre un contrasto
di bellezze come acqua riflessa ad acqua,
lo sperpero del cervello.

La verità potrebbe
risiedere dunque nel tempo
che è come se fosse immobile
momento dopo momento
anche lui scalzo
e umile,
ci rosichiamo la carne del torace
pur di poter sentire
un movimento analogico e infinito
diventare digitale,
questo le bestie non lo fanno.
E non ti salverà di certo
urlare dalla tromba delle scale
le tonnellate di coltellate represse
vomitando infatti le cavallette
che avrebbero un giorno distrutto
il tuo stesso raccolto

I veri santi miagolano
e gonfiano la coda
non certo per Dio.

Si può, dunque,
attendere – è una patologia.
Aspettare a mani aperte,
quasi formando una coppa sopra la testa,
questa rivelazione
sogno o coyote disperso
tra cicli di dimensioni,
questa magia da apprendere
per sbloccare e quindi leggere
il self,
il nucleo che come un rettile
si bagna d’aria la lingua
mentre noi facciamo finta
di essere noi stessi
e d’invecchiare.
Ma è un passo più lungo
non solo della mia gamba
ma della misura dello spirito stesso.
Attendere, dicevo,
è come patologia
tale venerazione,
indegne volpi
guardando brillare il cammino
di materiale completamente in disordine
e dunque ordinato velatamente


Geologo o primo ritrovamento

Geologo o primo ritrovamento

Cuori affranti lupi
corrono ancora
come lepri bambine
è mattino è notte che so?

Tremendo sarà il volto
di questo input indefinito
che scuote con due mani giganti
l’onda del corpo

Venni a sapere alcune cose, poi.

Sei la statua
che- vento e foglie-
si muove leggera
tratta comunque, tuttavia,
verso il regno degl’inferi

Geologo che scava e cerca
innamorandosi proprio di tutto
ed ecco
un nuovo linguaggio afono
riscoperto nelle profondità

sabato 5 dicembre 2015

Lirica dell’imago o Sibilla

Lirica dell’imago o Sibilla

O terza guerra mondiale
mitizzata terroristica lesbica

E ricordo ancora la professoressa Nicolosi
col vestito da uomo,
profonda come un pozzo
nel giardino delle arance.

Tu invece tra trent’anni
annuserai ancora
i diversi tipi di marijuana
come un’esperta
vaglierai
ciò che è polline da ciò che non lo è
e rintanerai- paguro – il sacro.

È meglio credo sia di gran lunga meglio
scomunicare
che comunicare
(toh!)

Davanti una nebbia
il polo
il tremendo alternarsi
di cielo
cosa è cosa è

Dovrei smetterla forse
di considerarvi e considerarmi
esemplari, provette, campioni.

Incontro le donne
e vedo che Lacan
ha assolutamente ragione
pur avendo torto.

Finiscila!
Parole,
il mio nome stesso,
sono questi i demoni…

Adesso, per l’ennesima volta,
tento di significare:
Un teatro che io scelgo
che io arredo
io testimonio.
Un copione casuale
ma incentrato su grandi temi
tutti concatenati
quindi non casuale.
Come un treno azzurro.
C’è pure una divinità
che gonfia la coda
e soffia.
Spirito: Eterno/estraneo
ma tentacolo
conoscibile/inconoscibile
scisso ed unito torace
che a serrature
chiude bocche
e porte, mondi,
universi
e ivi congela in imago squillanti
e offuscate- barbari alle porte-
indie di parole,
devi fondere
devi guarire
con la mano sinistra
devi vestirti bene
e madri di altri
bavose non meticolose
indubbiamente spine
a volte è questo il super-io
altre volte è un bimbo sul tetto
è lied von kindsein
è il matto azzurro d’occhi di sgombro

La luce e la signora Patti
che cucina polpette al sugo
in una stanza blu chiaro

Paul Morel consumato
piccolo caro D.H. Lawrence

Ammaestrato i figli
devastato
quello scorpione senza fratelli
innamòrati della bestia
innamòrati della belva

Gli Oggetti:

Come è che te ne liberi veramente?
Ti traggono in inganno
per colpa d’un animismo ancora bambino
e spontaneo-dopo,
una prateria tolkeniana
con un mulino
e qualche vacca

M’accorgo m’accorgo
che non ha senso,
ma come resistere?
Le profezie
non possono
non sembrare convincenti!


A Jung e a Cecco Angiolieri

A Jung e a Cecco Angiolieri

Per vivere avrò comunque bisogno
del contrasto,
del cazzo e della fica
metaforizzati
che senza manette
in agonistico scontro
possono anche scambiarsi i ruoli

Tant’è che dove vai vai
qui intorno
trovi solamente
natura florida e decadente
fiori come seni
rami come gambe
eccetera eccetera.

È dunque questa l’alchimia?
Produrre saper produrre correlativi oggettivi
muovendo da un occhio
da un gatto
da un profilo di donna
da un suono?
È che tutto contenendo tutto
e l’occhio e il gatto
e il profilo di donna e il suono
nascondono l’universo

Arriveranno le menzogne
al di fuori di me
a pestare  le anime più pure
all’interno di me
minacciandole
di farle sorridere in televisione

Le poesie pensate… le migliori!
Non le vedi nemmeno.
È pura forma che s’avvinghia
a puro significato
che è oceano
comprendente me e il resto.
Dunque in fondo poesia è il nucleo
se inteso
come radicale base creativa
che per comunicare
scinde
un mondo un contorno
che realmente non è-.

Il senso, ironico d’altronde,
è che comunicare equivale
a scindere
e scindere equivale
a falsare
la Nike d’avorio incastonata
nelle arterie

(Poi varie urla in dialetto romanesco
ma soprattutto in siciliano)

Ma che dici? AOOOOOOO!!!!!
Che dici?

Ma cchi spacchiu sta rricennu chissu?
Pezz’i vastasu!
Vena cca.
Tu fazzu avviriri iu
cchi boli riri
pigghiari a virità
ie unchiarila rai coppa!
M’addivittii, m’addivittii però!




mercoledì 25 novembre 2015

Kalokagathìa

Kalokagathia

Scadenze e una cantina,
ancora Tarderia,
un ritrovo di maniaci inusitati.
Ammiccando ad Hitchcock
abbraccio il mio scorpione

Non ho letto abbastanza e rimedierò

Era pesante ma non lo era,
ho Plutone e Venere in vena.
Calmandosi finalmente
vedo le fibre del corpo
le dolci screpolature
una kalokagathìa devastata dai venti
manicheo è tutto
ma tutto è apparenza

Tutto è una storia che si srotola
ed invecchia e ringiovanisce,
il mio pubblico immaginario è cambiato
e molto ampliato

Contorcerò i miei ventun’anni
in questo labirinto di sostanze umane
sostanze umane emotive
poi tentennando
prenderò a manate
animus e anima
congratulandomi con l’intensione generale
dell’interiore battaglia
che non si può fare a meno di combattere

Il Cibo ( o Il Lettore)

Il Cibo ( o Il Lettore)

Una scacchiera
e noi sotto
come statue
osiamo tenerla

E ogni volta giungo alla stessa conclusione:
che probabilmente non ne ho bisogno
eppure ne sono ingordo

Una dama che mi ama
un tepore ectoplasma
e la coda ricciuta di cose
che a malapena conosco
che come i dioscuri
non approfondisco mai veramente

Una pera abate
bella grossa in un cesto
mentre in città
tanta ingordigia
per saziare questo vulcano di cibo
che esplode
ed è un continuo
masticare ed ingoiare,
come sempre
vi è una morale nei cartelloni
che- tra diavoli che con collari
guidano stirpi nel gorgo dentato-
può sembrare allettante.
Vi è però tanto tanto di più
nelle mandorle
che sono bianche fiche
nel mimetismo non accorto

Sulla coda del gatto
che si agita quasi di propria volontà.

Non so cos’è,
sarà la Duse.
Continua a sussurrarmi
all’orecchio
pensieri sconci.
Non so più dove confina
il blu
col verde acqua
ad esempio.

Il tempo.
La caraffa cristallina
che eternamente
versa
su un tavolo verde e bianco
illuminato dalla mattina
acqua in un bicchiere.
E no, Ezra, no, in questi simboli
non c’è nulla di veramente referenziale,
nulla di veramente riconoscibile

Che senso ha, dunque,
il lettore, il lettore sì,
è come un cobra con gli occhiali,
sempre presente
nemico/amico
è un mago che sbalordisce
mosche
attaccate ad un pezzo di carne
ed esagero troppo.
È più un eroe anche lui
se sfoglia le pagine
con la coscienza già anziana 
già un po’ sfiorita
eccessivamente fiorita.
Chissà cosa succede ai lupi dopotutto

Domande che non hanno bisogno
di punti interrogativi,
la vista a questo punto si sta spostando
in troppi punti diversi.

martedì 24 novembre 2015

Pigmalione & Fichte

Pigmalione & Fichte

Marci di tabacco
e una marea di donne ed uomini
nel corpo s’agita,
tutte queste domande
esistenziali e retoriche

E adesso sento d’aver quasi preso il volo
-durerà anni ed anni la conversione-
e mi meraviglierò d’aver creato
forme, anche se asimmetriche.
C’è una pergamena infinita
che si srotola come un’iguana lingua
so che parte da dentro in un imprecisato punto
tra lo stomaco e il petto
e finisce dalle braccia alle unghie
in una paradisiaca ala.

È un’avventura di momenti dopotutto
-troppo cerebrale-
che s’intersecano come in una storia,
epicizzando e romanzando il mondo
lo si vede piangere chiavi per moltissime porte

Scatarro assolo di chitarra
devasto e qualche breve contatto

In realtà vi detesto tutti
e mi chiudo dentro la conchiglia
delle corna,
statue, mitologia, tutte le religioni

Nessuno oltre le nuvole
di questo tutt’uno-con-me- d’universo
lo zodiaco si mischia
e le parole escono come
utterances mistiche
dove il paradiso è facile
la confusione è stella rossa

E comunque no saprò come rileggerlo
questo mio mandala di morti lupi
questo mondo vespa
di cose famose nei libri
sprecando l’estasi perdonando tutti
non accettando accettando tutti
questi ricchi che circondano il mio corpo povero

è una maniera per confermare
Pigmalione
per confermare Fichte
è una grandezza, un trofeo
tra i desiderii miei.
Desiderii, poi, in una terra
che è sacco nero chiuso
da laccetti bianchi
gettato nel famelico cassonetto ,
cosa farsene del giudizio universale
e del giudizio degli altri?
*
Comunichiamo, tranquillo che comunichiamo.
È che non lo percepiamo più.
Dal fuoco dalle pietre
dall’almanacco del druido
il vecchio dingo
siete suoni amici
perché nati come zampilli
dalla stessa fontana

Era solo il 2009
e giocavo a Prince of Persia
impossibile
credere
a statue con occhiaie di muschio,
è la post-moderna maledizione
della referenzialità,
è una dimostrazione seppur annoiata
dell’essere stati tutti una cosa sola,
a volte è solo bello scrivere
altre volte è vero come un terzo occhio

L’urlo

L’urlo

Tentare l’urlo.
È come correre al contrario ,
tentare di piegare l’abitudine
sul filo della sperimentazione.
Le parole sono anche suono.
Gli alieni ci vedrebbero come tribù primitive
o come dei.

Rimasto nella scatola di spensieratezza
la lingua è pergamena
da ricamare e d’oro bordare

Il vecchio solitario Dingo

Il vecchio solitario Dingo

Una rosa che sboccia
nera
è ed era l’amore
-il tema di Tifa-
mentre il fungo mi consuma
e lo scorpione trionfa
in un novembre
siciliano, tropicale

Come sempre
la mente è un pozzo
Venere
come prenderti?
Il sesso è sacro.
Intanto immaginavo, per ipotesi,
-una zanzara morde la fronte-
come sarebbe andata
se la società
avesse reputato i genitali
normale estensione
complementare al corpo
e non misero tabù da innalzare su un piedistallo
da un parte
e riempire di spine
dall’altra

Morderò come Mario Rapisardi
attenderò l’Armageddon
con la consapevolezza
-la parola nella testa
come un eco di déjà-vu-
di non essere né ritrovato
né a posteriori letto

Prima del La maggiore
prima del Mi minore
prima dell’arazzo di bellezza distaccata
che è il mondo,
soverchiare dio
manipolarlo
-non si offenderà-
è un automatismo forzato
di corrotte crociate
tendenti al blu scuro,
trascriverò in ritardo
molto in ritardo
questo smegma d’idee

è il gusto di fare ermetismo
che poi è il linguaggio dell’incoscienza.
Quanti illuminati che vedo…
appesantiti, riottosi,
come maghi
come un vecchio solitario
Dingo,
e gli amici cosa sono se non tegole
su una casa ad albero
che si estende in disgrafia,
di nuovo il mio centauro
ha scavalcato le otto mura
del castello dello spirito
lanciato la sua saetta
oltre al di là
del verbo
al di là
della teoria della letteratura,
né Schleiermacher
né la skopostheorie
potrebbero veramente tradurla

Cobra cobra
che ti sviluppi
in un cesto di vimini
e cresci
e te ne sbatti

Come in un’Atene
Pericleana
ordinai ai miei schiavi
di erigere un tempio
con dentro specchi
contro i quali è evidente
che la coscienza si alteri
e dalla mia immagine
ne scaturiscono mille altre
come un polipo dall’aspetto piacesco

domenica 22 novembre 2015

La vacca

La vacca

Naturalmente siamo delle bestie
Uomini che vomitano arte
e pietà per i banchieri
e passionalità d’amore
tra muratori,
invecchieranno le star del cinema d’oggi
e noi le vedremo morire

Come?

Caro linguaggio
che sei una serpe tentatrice
per uscire da questi merdosi binari
dove vedove impazziscono
smartphones e demonio
ed è obbligata e vincolante
la scelta,
non stracciamo mai quella schifosa locandina

Mi basta pescare da un nulla
una vibrazione

Quant’è difficile abbandonare
una posizione…
è che sono anch’io
impastoiato nel casale come una vacca

Ed è Venere attorno
che sempre svolazzando sfiorandomi
-potrei anche non aver scritto-
un processo nel quale
le contorte figure
inconsciamente ammaestrate
non dormono
mentre io dormo

Una lieve disgrafia
e molecole che si disperdono
-potrebbe anche avere ragione
Sartre-
dunque ad una festa
d’una compagnia inglese
noi e Mike Campovecchio
come ipnosi e psiche
eros e antieros
o il passo tondo di Tasso
nel suo balconcino schizofrenico

Una chiave che hai al collo
e non vedi
e apre tutte le porte

Da dove provare
cosa- come?
Dove?

Una partita a scacchi.
Il Dogma è anche negli operai
talmente torto e scavato
e mentale.

Cosa c’era che non andava?

Insonnia, l’oscurità da sempre ammalia
torbide ali che non smettono di battere.
Le lettere come eroi
di cui sfilarmi  lentamente
il pesante giubbotto.
Nel frattempo qualcuno- qualcuno
di molto importante però-
decise che le persone
avrebbero dovuto essere scambiate
per tranci di schifoso tonno in lattina

Il Palmo

Il Palmo (o le idee platoniche)

Poesie inframezzate
da sorrisi languidi
in che modo
abbiamo
appeso una falce a mezzaluna
sopra le nostre teste
ridendo e scherzando?

*

Donne pazze
e donne oscure
e donne che volevano essere oscure,
Venere.

Tempestivamente capire
se stessi
e dimenticarlo,
nell’unico satellite
le idee platoniche
danzano senza testa a volte

Le Sue Dita

Le Sue Dita

E di cosa ci facemmo
marci come allodole
perché veri pontefici
contro il e nel tempo

Dalla mia testa è infatti partito
un fascio di luce
che superava e avvolgeva il pianeta.

In fondo siamo pregiate miniature
Dettagliatissime
Incise in ventri d’armature
subito a creare
subito a creare

Le mani

Le mani

Scoprire che cosa
se non siamo neanche in grado di respirare
la giusta menzogna agl’occhi nostri ?

Sono come tanti angeli di stringhe
che si slanciano col deltaplano
dalle mie mani

Procedono così per sezioni
che sembrano pagine d’un album di figurine
e non lo diresti che in realtà
sono tutte lo stesso io

Non succede niente
giocattoli cadono sulle poesie
la gente ci cicca su

D’altronde
 mi sembra strano
che le mani
con questa forma obbrobriosa
riescano a produrre cose così belle

E non diresti neanche
di quanta femminilità vi sia
nelle parole degli uomini tutti


Due novembre

Due novembre

Girovagando incontrai
volpi e grooves
e testimonianze di vermi
credo che la pallina
della penna a sfera
porti in qualche modo
l’impronta della calligrafia
della precedente mano

Non partoriremo mai così…
C’è un altro che a volte prende il posto
e parla di sesso scandaloso
e comunque
complessi cadono
nei nostri versi tra amici

Divorzierò?

Maupassant che non riusciva a staccarsi
dall’utero violento della natura
non ha nome e neanche noi dovremo averlo

Poi gli spietati
s’accalcarono su quel pover’uomo
il corsaro con gli occhiali da sole
per impedirgli d’estraniare
altre prospettive
masticato in una tazza di zuccheri

Lo scheletro del dingo

I soprannomi, i cognomi.

Spesso è stato solamente
un voler imprimere qualche forma dalle mani
alla penna
al foglio,
ora che la mano parla.
Non so, il glifo è importante.
Dice che è un cerchio chiuso
sormontato da un semicerchio
rivolto verso l’alto

I Fabbri di Grondaie

I Fabbri di Grondaie

Scaverò correndo
e nel cemento.
Non so tanto meno
volare.

Come noi che eravamo
sotto sotto rettili,
il linguaggio
è una grossa scatola di Lego
tutti diversi.

E pattinavo sul laghetto
dell’arte
con quell’infinita grazia
che non ho mai avuto

Ognuno sostiene cose
che potrebbero sembrare uguali
ma non lo sono affatto

Final Fantasy VII
e Final Fantasy VIII
come due enormi cristalli
che ero riuscito
a ricollocare in ritardo
nell’annovero dell’infanzia

E comunque
io e gli amici
ci comportiamo come belve
perché
siamo anche angeli dopotutto.

Mi lasciai trasportare
divenni mantra
che in una notte di parole
risuona armonioso
come voci nere

Mi sono poi
andato ad addormentare nei pistilli
sotto il tuo cespuglio
la creta del palazzo
la creta immaginaria del palazzo
in una scorretta e vecchia
via Toselli
salutare incalzanti, bianchi e goffi
i fabbri di grondaie

Filosofica Prima

Filosofica Prima

E Wikipedia diventerà a pagamento
e gli squali assessori
nuotano in flotta

*

Accettiamo d’essere dunque
leopardi
con la pelliccia di brina,
l’interpretazione
avviene
immediatamente dopo
l’invenzione

Chi confessò cosa
in questa malattia
di diamanti e schegge
e cervelli sproporzionati?

Il cervello ha sviluppato
delle gambe
e adesso gira su stesso
dalle lettere dei poeti
dai sogni non ricordati

Consideriamo dunque
la realtà
maleducata diavolessa
che non esiste
se non relativamente,
dal ragionamento
ne è uscito fuori
solo un serpente

Crederò archetipicamente
alla compresenza
di anima e animus,
un nome,
se ti affezioni ad un nome,
ad un sostantivo.

Chi calmerà queste petunie
di poesia,
fumo di sigaro metafisico
è tutto da capire
e
tutto è tutto.

Coinvolgente, no?

Pur pensando all’invidia
Verde
e Pelleas e Melisanda,
alla monotonia
di certe piogge
mattutine

Al tempietto
con colonne corinzie
che nel mio stomaco
ho eretto per Venere. 

La forma n.3

La forma n.3

Sedendo
davanti la porta aperta
comprendo che la bellezza
è anche forma
e non solo
un cane con il costato di fuori
e la bava forse viola
in una notte di luna

Probabilmente
quattro chiacchere con Valery

Forse mi tuffo

Arriverò dove gli eventi s’ammazzano
in un verde chiaro?

Amerò come riflesso incondizionato
o come Ted Mosby

Le sterpi

Le sterpi

Il progressive rock
è letteratura
in fondo

Scappare dove?
Infatti da nessuna parte

Carte alla mano,
si vede poco del tempo,
è una nebbia fitta
dove ognuno
ha solo la propria anima
come fiaccola

Sbagliavo
tra varie sterpi
la mia mano
copre la luce

Riflessione rispetto la voragine che si aprì a Valverde nell’ottobre duemilaquindici

Riflessione rispetto la voragine che si aprì a Valverde
nell’ottobre duemilaquindici

Nei sogni avevo sempre l’impressione
che quel ricordo di te
blu tutto sommato
fosse vero.
Entravi magra nel sole
e su un divano possibilmente verde
eri veramente innocua
come per poco tempo
ho pensato fossi.

Sempre di più mi rendo conto
di sempiterne mitologie
di stelle
che abitano questi Dei bastardi
qui in giro

Una vita spesa dopotutto
a circumnavigare Venere
in cerca del suo sorriso

E rivedo quella screanzata
di George Duval
fumare e montare a cavallo,
rivedo quel granchio
di Marcel Proust
restare conficcato tra le pieghe
del tempo
coricarsi di buon’ora

Cos’ho da inventare io se non me stesso?
Quale calcio dato in subitanea memoria
sveglia questo saggio parassita d’un nero ancestrale?

Ricredersi ?
E come per davvero?
Assaltare la roccaforte
metterci dentro una bomba
a forma di piovra

Come una pesca
come liquori

La Sicilia intanto
è un tafano
che guardandosi allo specchio
non capisce le ragioni
dei suoi capelli bianchi.
Una voragine si aprì a Valverde
quel giorno d’ottobre
mentre io ed un’altra metamorfosi
camminavamo
ben difesi
nel nugolo greco
di sacrifici non compiuti
e delle conseguenti catastrofi

In macchina con marco

In macchina con marco
(o poesia beat)

In macchina con Marco
attraversavo un odoroso alveare
d’insetti mai visti
insomma dalla mente brulicavano questi insetti
incapibili d’inchiostro a volte

E le gambe che si scannano e la polizia che maneggia senza cura
la sua stessa libertà, il braccio armato di una legge di tarli con gli occhialini a mezzaluna
e scannatoi di ventre che in realtà microcoltivano rabbia e insoddisfazione;
Come benzina per Rockefeller come spuntoni d’acciaio alle gambe per Carlo Magno
come il tumorale disegno interno ed esterno che esecra
pance di dee e misurati kamasutra perché il sesso è sacro
insomma come volgari nottonette sifilidiche che spargono bugie e poesie
nella luna che sembra una luna e niente di diverso e Marco guida e tutto attraverso tutto in una bolla
“I ciechi cioè i non nucleari!” osarono dipingere
e la marijuana trasportata da mente a mente
in qualche modo ipnotizzati dall’8 beat di Nobuo Uematsu
che ci culla e cullati ci ha già
preservando almeno uno spazio d’ombra tra immaginazione imago percepita e
densità d’alba
e tutta l’alma che si scuote al suon di tronchi che sbattono su loro stessi ( è solo Natura su Natura)
se sembra un foglio allora vomitaci
se ha il candore della zattera della mente allora è giusto giustissimo anzi
non esitare e con la spada sguainata
ferire se stessi gli uni contro gli altri per ferire in verità la storia ed il secolo carnivoro
che è come se non finisse mai, come se per fastidio o inerzia si stesse protrando all’infinito
in un vortice che da un corpo del genere concepibile non è.
Il saggio, eppure, ebbe il coraggio di farmi notare che tuttavia erano solo parole
su parole su parole
che si rotolano nel fango della mente di questa parete zozza di Platone
e bada bene che potrebbe essere sia la caverna che il parassitario- perché- ideale
mondo delle idee.
In fondo, quando il legno si perse nell’oceano di fuoco e ombra sincronici come dimensioni o stringhe
potrei addirittura aver intravisto il faro, il vero faro di vera luce, e non artificio di artigli e aquile mannaie
e non il gioco del tridente
come se fossimo già cadaveri e barattassimo
questa energia di foglia verde
con un piccolo nome nell’elenco del catasto,
schifosi.