mercoledì 6 luglio 2016

Sulle rive del fiume Ajiravati

Ma sulle rive del fiume Ajiravati
mi sono seduto
e sassolini provavo a lanciare
e non m’ero accorto della melancolia
sottesa al rosso delle foglie.
Sulle rive del fiume Ajiravati
Maya stava per non fare in tempo
mentre uno dei suoi prediletti
se ne andava via dal samsara
col viso e le mani radianti la luce cosmica

……e noi siamo insignificanti agli occhi dell’universo
eppure ognuno di noi è un dio.
Siamo insignificanti sfere di candore
e vaghiamo automatici nelle reazioni della nostra personalità
a volte riuscendo a protendere le braccia nostre
verso il corpo d’un altro .
Insignificanti e d’una pervertita corsa alla malattia
e al pandemonio
avremo tutti a breve
la punizione che meritiamo.

E sognavo un gesto di stima
manifestato da te a me
ma è solo un sogno
poiché benedetto ci hanno
con la maledizione nera
della separazione
ed adesso separata è l’anima dal corpo suo
(temo che questa dicotomia sia necessaria
qualora ci si appresti all’indagine della verità),
l’uomo rosso dalla femmina blu
ed ogni braccio dalle dita staccato,
come per scelta o per magia.

Sulle rive del fiume Ajiravati
suonavamo violoncelli saturnini
e l’Arcano XIII, senza nome, mieteva
carne
di carne lui stesso vestito.
La luna diventò rossa ed urlai “è giunta l’Apocalisse”
mentre sentivo già le vostre bellissime donne lacrime
scorrere sulla mia spalla.
Il cuore sotto al petto un tizzone
purtroppo è solo latore di funeste domande
e l’anima vuole annusare e comprendere tutti i fiori
del giardino
ed ogni animale accarezzare
perché riconosciutasi attimo, semicroma nera di Re
in una sinfonia che non ha mai smesso,
momentum infinitesimale e unico.
Che importa la direzione che avrà il vento
quando arrufferà i vostri bellissimi capelli di terra?
Avrete comunque la bocca aperta, lì, pronta per riceverlo.
Che importa se siete come acqua sul pavimento
d’incontrollabile Caos ed espansione?
Qualcuno proverà inutilmente
con mani dolci o severe
ad arginarvi e mai riuscirvi potrà.
Sulle rive del fiume Ajiravati
è caduto un Dio, è morto un Dio,
era il quindici ottobre o il quindici febbraio.
Sulla spirale di cause e conseguenze
riflettere non fu più possibile
perché tutto era diventato luce.
Ci amammo solennemente, più muti d’un mausoleo,
più assisi d’una conifera, più verdi d’uno stelo,
pensavamo d’essere per la prima volta noi stessi
ma tra i flutti di quell’acque
i piedi diventarono il sinistro uno sgombro
l’altro un palammito
e nuotarono via fino all’oceano indiano

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