mercoledì 6 luglio 2016

Vortice, tifone, uragano.

Il cuore una spugna tutta inzuppata
perchè sei doppio, triplo, quadruplo.
Hai cercato quel legno di barca
per alfine trasportarti in mare
perché il mare è omnicomprensiva madre di tutti gli esseri viventi
organici e inorganici,
e allora lo senti, il tuo mare?
Quando è successo, subito hai pianto
e subito hai creato
come se questi due movimenti
fossero logicamente conseguenti,
la lacrima e l’inchiostro.
A dirla tutta otterrai
un infinito che fugge le unghia
che le spezza di continuo
e quindi non ti ci potrai mai aggrappare.
Quel mare di cui sopra,
quello ti separerà sempre dagli altri mari
vicino a te.
E ti salvi per il rotto della cuffia,
lo zigomo desto contuso
l’alma mai scemata via.

Poi altre volte aristocratico egotista
ti perdi in un bicchier d’acqua
credendolo l’oceano,
in un fisico e materiale bicchier d’acqua
tutti ci siam perduti nudi.
Per il grane vortice di me
e della memoria mia,
ma anche per te vecchia amica
leone ascendente scorpione ,
per il tifone del contesto
per l’uragano dentro i piccoli
sedicenti poeti.

E chi sogna e ricorda il sogno
è costantemente inconsapevolmente
lì, a Delfi,
chi dimenticato non ha il matto scorrere
del tempo interno
e i volti dei cadaveri massacrati degli eroi.

Per il vortice, o santo vortice,
che braccia e gambe hai separato dal torace
che torace hai separato dal cuore
che l’intero organismo
hai voluto allontanare violentemente
da quel bellissimo straordinario Albero
sotto un carcinoma di finti dei grattacieli.

Per il tifone
che s’è portato via i padri
ed i pezzi dei padri dentro ai figli
e adesso del fuoco d’una maturità
d’un’adultezza
li avvolgi, li culli,
li inscheletrisci,
dire che il samsara nostro è l’inferno
è solo spontaneo
ma gioiscine, abbi gioia!
È tanto sbagliato non dar la possibilità
alla vita stessa
di spogliarsi di fronte a se stessa
per notare cicatrici o bellezze
che prima viste non s’erano.

Per l’uragano che fu
che fu
che ci fece cadere, piombare
liberi
in un corpo di catene d’acciaio.
Caro uragano di lacrime
fredde o calde
sei per i vivi una lapide
a monito posta
grazie vecchio uragano rosso chakra
che già m’hai rassegnato al melos,
all’albos, al rubis.
Che già m’hai rassegnato
al nero/bianco della sconfitta
dolce come zingara o zagara
in maggio.

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