martedì 14 maggio 2013

22:35, guardo l’aurora che non c’è.



22:35, guardo l’aurora che non c’è.

Chiedimi se ancora sono
tra noi
se ho ancora
la gola secca e
ti risponderò con una
rosa.
Non c’è  più ossigeno
su Marte.

In un’altra dimensione sarei stato un fiore pieno di petali,
rossi,
e avrei avuto acqua per quanta ne vorrei
terra dolce per quanta ne vorrei
api a corteggiarmi per quante donne vorrei,
ma in questa
dio ha paura delle cose parallele,
anche se le piange come un giocattolo rotto.
Fa impressione una foto dal tempo che tempo non è,
come un cavaliere senza lancette e senza
draghi
da sterminare.
Poveri draghi!
Così corrazzati e avidi
stanno solo nelle
fiabe impolverate
soffiano fuochi sui manichini
con voci rallentate
gravi
in un supermercati per lo più vuoti.

Sento di amarti davvero,
il tuo vestito rosso è così rosso
che il sangue sembra la mia prima lacrima
perché mi hanno preso a scrivere;
che hai vent’anni
ma ne porti quaranta.
So che darò a te la colpa se
A Saucerful of Secret
si è imbavato nella plastica
d’un giradischi
per salvarci da
acute voci pubblicitarie;
Se tra il primo ed il secondo pilastro c’è una palma soltanto.
Ti incolperò se sarò padre
con una scodella in testa
un tappeto come mantello
e mi fingerò legionario dell’impero romano
della decadenza, perché odio la vecchiaia.
Se avrò figli voluti ma ora non voluti,
se sarò solo con
moncherini di vetro-resina come
soprammobili,
se mi spengo come le cartine non chimiche
non bianche
quando non ho entusiasmo
nei giorni normali
e studio linguistica
prima di un esame.
Se la musica finisce ora
vomiterò il mio stomaco
e non potrò più mangiare,
vomiterò il mio stomaco
e forse tornerò un magro sedicenne spensierato
prima di morire di fame.
Se la tua voce si spegne
in un ultimo accordo
di cigno
e tu non volerai più come
una fenice in fiamme,
si spegnerà anche la mia
e non parlerò più,
mi muoverò a gesti,
non vedrò più  e leggerò il tuo corpo
in braille.
Se non sarai bionda ancora
come ci hanno raccontato degli angeli,
come mi appari adesso,
e perderai i tuoi capelli onde sonore di uno
xilophono
io perderò i miei, vorrò perdere i miei,
e sarò come in
chemioterapia ma senza
un tumore
(eccetto il mio occhio destro, quello storto)
e allora indosserò una tenera maschera da
romanticone e
sarò l’amico omosessuale
di turno.
Se mi lasci adesso che quella sigaretta
si è spenta via disegnando infiniti alfabeti
nel fumo
io mi spaccherò da un
balcone ma non
morirò, ché ancora
non ho scritto un epitaffio decente.

Le lacrime sembrano
la farcitura dei
cornetti alla crema
nel latte,
le tue lacrime sembrano
latte.
Decisioni con decisioni,
decidiamo allora io e
te
di non essere più
carne o ossa
ma fanghiglia, humus,
cenere umida,
nostalgia del mai provato.
Racchiuderemo ere geologiche
in attimi striminziti
e stretti
collocheremo elefanti
dentro scatoline
di legno
comprimeremo montagne
nei soffi asmatici
dei neonati
e apprezzeremo un lieto fine
forse
di continui secondi
oscillazioni di cristalli nel vuoto,
perché il tempo non esiste,
a volte posso sognare mio padre
come se fosse
dieci anni più giovane.































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