martedì 9 febbraio 2016

Selene

Selene

E vedevo di nuovo al contrario
le cose stilizzate da penne
che non mi appartengono.

Le donne piangono da un balcone
o dalla sommità di scale
comunque sempre da un luogo sopraelevato.
Piove.
Piove a dirotto.
E la pioggia è dentro di noi,
come manifestazione di generale pesantezza
da cui né operai né nobili fuggono

Poi la crisi di un sole
che sputacchia affascinanti verbi
come spruzzi d’acqua marina,
non sarà mai semplice dire con certezza :
“Io sono io; Tu sei tu”.
Come non è assolutamente corretto
affermare così, con la spavalderia di un muratore abbronzato,
“Io sono io quindi tu sei tu”
Contrariamente a quanto ci verrebbe da pensare,
anche l’affermazione:
“ Io sono te; Tu sei me”
è un vero disastro.
Simbiosi. È un osso, è il mio osso.
Stare a guardare l’estasi.
Non sono Vitangelo Moscarda.
Non sono tutte queste scatole
piene di roba
rubata strappata alla morte
al passato.

C’è qualche mitologia dunque, qui,
nel “Selene” abbandonato ad Acicastello
che si affaccia allo Ionio in manette.
Qui, in capelli d’ambra e faccia piccola,
ramificata,
sembri di legno.
Ma non compierò lo stesso errore
di Alice davanti al Brucaliffo, no.
Questa volta afferrerò la realtà per i capelli
come la Fortuna rappresentata nei fregi d’Atene.

SPAZIO. SPAZIO
In questa mente che è un giaguaro
in tentazione però
dal vero pacifismo
che mi compone
gracile e grasso
ad un tempo.

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