domenica 13 marzo 2016

Degli avvenimenti che si verificarono tra il ventinove febbraio ed il dodici marzo duemila sedici e di come mi portarono a sbattere ancora di più il viso contro la mia anima senza confini

Degli avvenimenti che si verificarono tra il ventinove febbraio ed il dodici marzo duemila sedici
e di come mi portarono a sbattere ancora di più il viso contro la mia anima senza confini

Parte 1:

Ipotesi con sottile riferimento alla teoria dei vortici di Descartes

Un romanico che nel rosso ha un suo posto d’onore,
e poi c’è puzza di passato antico e glorioso qui.

Essersi ritrovati a scrivere.
Che poi non ti venga in mente
la solitudine infantile
dalla quale nasce la corazza di plastica dell’identità.
Eh sì, non si è più il seno che eravamo.
Stracciato, adesso giace dopo aver dato
litri e litri di latte.
Ed io però continuo a cercare nutrimento ovunque.

A distanza di tre anni mi sento di reiterarlo, sì:
le ragazze bolognesi s’imbottiscono a ruota.
E tu tornerai trionfante in piazza maggiore
non capendoci niente.

E poi Kant, Leopardi e Thomas Eliot.
Ognuno analizza la stessa cosa da tre punti diversi.

Le dita lunghe di Mike Oldfield.

Credo che nello stesso momento
in cui hai capito
d’essere la cosa riflessa nello specchio
hai cominciato a sentirti solo.
Un tempo sapevi essere tutti i crateri dell’Etna
tutti i giunchi di Calamosca
tutti i palazzi abusivi del Cibali,
ed allora,
mano nella mano
con il panteismo d’un mondo attaccato alla parvenza
d’un mondo
niente poteva essere nocivo perché era già contenuto all’interno di te.
Non appena lo specchio ha cominciato a parlare
l’interlocutore si è scisso in due ed uno è rimasto lì dentro
rievocato (forse, a volte) dal pensiero magico.

Così dicendo, nel sole,
un taciturno universo di lievi nuvole
è mimetico nei miei confronti
può rinascere di nuovo in me
senza essere troppo acclamato.
Espellerò tutto ciò che Io non è
e lo recupererò col tempo.
È il cammino, è il mio cammino,
diverso ed uguale giorno dopo giorno.

Il gioco della simbiosi
divertì la fanciulla
ma anche il cuore calvo dei bruti.
E sicuramente è un residuo
della percezione tutta bambina
d’un Io universale
nel quale stiamo nuotando tutti
da una vita intera.
Si deve disegnare un contorno
all’anima
per farle capire
che nessun contorno
potrà mai esistere.

Sono un simbolo vittima di simboli a mia volta,
Milano si dimentica troppo spesso
d’essere nata dai porcari.
Come in un sogno, lo vedete,
è chiaro: la gerarchia non la decido io.
E poi noi artisti venuti fuori
da un saturnino ventre di denti cariati
e fonti cristalline purissime,
noi non abbiamo bisogno di una poetica in pillole
accompagnata
da un’estetica originale come Vincenzo Monti
(e non mi riferisco alla sua traduzione dell’Iliade, per carità)
La troverete da voi quando i vermi brulicheranno
una vita migliore per il nostro caro corpo,
armonizzando le vostre coscienze
adesso carbone muffito nel nulla
in un coro di piume di cielo.

Ancora lettere da Yokosuka

Ieri sono tornato indietro nel tempo
prima d’addormentarmi

Ma senza né fuoco né acqua né aria dovrò continuare?
Come ingrossarmi o ridurmi al minimo?
Come trovare Gondolin?
Come restituire l’udito a Goya?
Staremo a vedere.

Se ti guardo è spesso per dirti
“ sono qui”,
è una roba un po’ triste, lo ammetto.

Comunque parlavamo di seni, e di lacrimucce,
e d’associazioni sicuramente non casuali,
e d’un ordine che è un disordine,
di Carla Musumarra, dei Godspeed you Black Emperor,
del Narkè siciliano,
due botti vuote e due mogli ubriache,
tu non ce la fai proprio a mostrare
quello che senti, ma sono sicuro che lo senti,
di una vecchia mimosa, dell’album “Tutti morimmo a stento”,
del crocevia poli-dimensionale sul quale
ogni uomo avulso convulso e nudo
è stato posto,
di prede, di cacciatori,
delle tue mani minuscole
(le mani minuscole sono le più belle),
e poi ancora di Tekken 3 ,
del delirio venuto dopo la critica della ragion pura,
d’una generazione di mandrie di teste di minchia
col muso attaccato ad una telecamera
e le zampe nel fango di loro stessi,
Orazio che aveva capito anzitempo
che non importa dove vai se il malessere è nel ventricolo destro
nessuna prateria sconfinata e lontana da casa
saprà portartelo completamente via,
della nigeriana che una volta baciai dentro il Glam
di Sean e di Dom
e di altre matte squilibrate
che misero le mani nella mie mutande.
Per non citare, a questo punto, Rino Gaetano,
il miele di zagara, Giordano Bruno, Pico della Mirandola
che ripeteva la Divina Commedia al contrario,
i Kyuss,
il codino di Robespierre,
Longineo, la cabala,
l’estrema unzione come coronamento dell’idiozia umana,
l’estroverso canto d’un cigno che muore,
“Salò o le centoventi giornate di Sodoma”,
l’eternità che ogni uomo
stringe lucente in mano
quando dà vita a qualcosa attraverso la Natura
o quando dà vita a qualcosa attraverso la Morte
e l’esplosione di vita che è la putrefazione,
le amebe che si lasciano mangiare dai loro simili
in tempi di magra,
le anguille, il tonno,
il pescespada,
il ventre gigante di Giovanni Pascoli decadente,
Huxley, Zelda e Fitzgerald, il fatto che ti ho amata
ad una velocità anormale,
il fatto che mi dispiace non averti amata,
le torri nel medioevo, De Chirico,
le poesie non ritrovate, le poesie pensate, i sogni non ricordati,
l’arcana musica dei primi uomini villosi,
Halo, il Gammazita, le vignette del Topolino,
la Marijuana,
il Balamb Garden magico e immenso,
le meteore,
l’alone di luce attorno alla testa di noi
che siamo i veri esseri ultraterreni
senza accorgercene,
il vincolo che ci ha uniti e divisi,
i miracoli sparsi ovunque nel mondo,
i miliardi di personalità in una personalità
le donne che vivono dentro gli uomini
la virtù d’essere consapevoli
d’essere un riflesso di luce intangibile primordiale
autorizzato ad urlare a spazzare via tutto
a bruciare il mondo della sua fiamma.

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Facendo a pugni col dio Vento
(o il lirismo della morte)

Caos rosso bordeaux emiliano
mentre le persone
impegnano il proprio tempo
a costruire orologi per guardarlo passare,
io sono molto più confuso ed in preda all’ira
di loro,
ma forza,
stabilità,
creatività.

Sviscerare il problema.
Non la smetterò mai e te ne andasti per questo.
Sento una mannaia tra le dita
e che con questa
cerco di spaccare
la cassa toracica di un povero vitello

Facendo a pugni col Dio Vento

Un ragno, due ragni.
L’inferno e il paradiso
sono topiche
da aggiungere
all’Io, Super-Io ed Es.

Gli XXYYXX .
Un prato verde
e la mollezza nostra,
penso a Nico e al suo indistinguibile
accento mezzo greco mezzo iraniano,
le cose possono acquistare una bellezza allucinante
quando ti urlano addosso dal passato.
Non odiare e non reprimere l’odio.
Spazia.
A volte desidererai che l’unico essere possibile
sulla terra
sia tu.

Tornati con maschere da lupo
a sfiorare l’erba più verde con le labbra.

Non odiare e non reprimere l’odio,
tu che a reprimere non sei mai stato bravo.
Capisco che non sarà semplice
ma non è impossibile.

Se riuscirai ad impugnare questa pesantissima spada
amorfa come una bambina,
e, senza lasciarti accecare dagli squilli eccitanti di
luce che narra con bocca di troia,
a domarla su un’incudine con profondi ed incessanti
colpi rituali,
allora
invitato al banchetto dell’identità
tua e degli altri
saprai addentare con grazia
il cuore di tutte le dame
divorare con stile e saggezza
ogni fiore
sorreggere gli amici che ne hanno bisogno
calpestare mani oblunghe e borghesi,
condenserai dal polline dell’esperienza
l’hashish migliore
e riderai come sapevi fare tanto tempo fa.

Ma se corrotto navighi per l’oltretomba della testa,
sfidando la via più bassa con un’erezione
solo perché sembra Ornella Muti da giovane,
annegherai ed annegherai ancora
in un oceano che molto più stronzo e spietato di te che sei buono,
dove ogni bellezza reprime una falce di morte
che non può nascondere.

Tu ami la morte, lo so.
La ami!
Le lecchi la fissa da non so quanti anni.
Tu ami i vermi,
lo scodinzolare bieco dei cipressi,
il tempo che grinda la nostra pelle
e la impasta alla terra.
Ma dica, sir, risponda:
non è la stessa ricerca d’un pensiero
dal colore ed odore
talmente forte e vivido
da riempire
le fondamenta d’uno spirito
che hai allargato
disumanamente
spensieratamente
innocentemente?
Cerchi ciò che sai essere d’una meraviglia infinita.
Il lirismo della morte.
Non aver paura dello scheletro che ti abita dentro
quando viene per abbracciarti….
Anche il freddo portato all’estremo
nasconde impensabili ondate di calore.
Questa, questa è la morte che voglio accarezzare.
Non l’ostinazione a spezzare la vita nel suo climax,
ad imbrattare con nevrosi indelebile
il muro mistico della natura
e della natura umana,
a dire di no alla potenza della condivisione,
ma la morte che bacia la vita con la lingua
e se con una mano solletica dietro il collo
con l’altra la sta già facendo bagnare tutta.

Strisciando sotto l’estasi
mi rendo conto
che vorrei trascendere adesso
il mio cuore e il mio stomaco,
nemici-amici,
li mangerò a morsi
in un’esplosione
di giusto giustissimo sangue maculato,
insegnando definitivamente al corpo
che non vi è strada che non sia la rinascita
continua infinitesimale

Parte 2:

Io e Kenzo come vecchi samurai pelosi
attraversammo Parma,
“un altro bicchiere e diventerò molesto”
sentì la mia voce esclamare
e parlammo
di come è ingiusta la pubblicità,
tanti tumori su un mondo che con un colpo di coda
potrebbe spazzarci via.
Un vortice di nicotina
Mantova è bella e a volte razzista.

Ogni volta che mi libero del giogo
torno a ficcarci la testa dentro.

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Solo un piccolo appunto:

Cominci a guadagnare l’allegria dovuta
(non è vero.)
Lei non fa altro che morire addosso alle persone
(sei tu che l’hai stretta però….)
Cosa fare?
Ammalarsi ancora? Giammai.
Con questa poesia giura che andrai oltre
il corpo tuo e suo ora che li conosci bene,
chiudi tutto nel baule, chiudi tutto nel baule.

Non è possibile fingere
in questa casa
dove piangono in coro
i valori dell’aristocrazia

Solo così dev’essere.
Prendi. Prendi questa katana.
Adesso, con attenzione,
prova a tagliare via
entrambe le braccia che hai,
ne rimarrai esterrefatto.
Con tutte queste lenzuola di seta
come un turbante intorno
ad un volto solo ed immotivatamente offeso

Tra qualche tempo
anche di questi tempi potrò dire
“a quei tempi”,
tu sei affondato nel vetro, mio caro.
Hai permesso troppe mani nel tuo corpo.
Hai mentito e mentito e mentito
mentre l’anima però non capiva,
solo per ottenere quella bellezza trasudante dolore.

Alla mia lingua e alla tua,
al fegato.
Devo a tutti i costi sudar via lo sporco,
guardarlo maturare, non pensare più
all’averti perso come una sconfitta,
senza alcun peccato.
La referenzialità
comincia a stancarmi,
un continuo coltello
che sfiletta uno spirito
infrangibile senza saperlo,
cosa farò, dove andrò, cosa ne sarà del mio corpo?

Dalle chiese romaniche
apprendemmo in tempi non sospetti
che l’estro della coscienza
dev’essere difeso in austerità e decoro,
dentro vivono demoni
aspri ma giusti.
Non conosci, non sai.
Sei tornato lì al gelo del nord,
lontano dagli zaurdi e
dagli sparvieri di melanconico mare,
per provare a prendere cosa?
Ti mancherà tanto e non potrai evitarlo,
le sue mani, la sua pelle, l’alito,
la Gelosia,  il volto che si contrae per piangere,
l’ammucchiarsi di pensiero e ferite.
Perché vedi il bene dietro ogni cosa
ed ogni cosa
dietro ogni altra cosa.
Fintanto che sai sorridere da solo
starai bene anche in prigione.

E poi sono uno di quegli esseri che nel contatto con il suo opposto
raggiunge il picco dell’estasi

Un tempo ateniesi vestiti di gloria
eressero una statua per Priapo
vicino a quella di Atena,
sorridevano tutti.

Il corpo è d’ardua comprensione,
sfido chiunque a leggerlo.
Costantemente costretti a doverlo
sistematicamente
metterlo da parte
o farlo vibrare al massimo.

Come saltellare via fugaci nei bronzi?
Rimarremo eterni?
Smetterà d’importarci di rimanere eterni?
Ho il ventre bagnato anche io,
della mia arte sarò bello a prescindere da tutto il  resto.

E poi non sai neanche più chi sei.
Per lo meno, molti dei contorni
ora acqua
si smussano e confondono negli altri.
Tant’è vero che toccando corteccia
diventai quercia
toccando serpi diventai rettile
estasi mia perduta estasi mia
nell’apostrofo della testa umana
le dita troppo deboli non seppero tenere la presa.

Sai , mi riprometto di negare
quel bello forzato e sprecato che eri.

E dopo che stamattina mi piangi tra le braccia
il dramma di un amore che muore
(unico ed uguale per tutti gli uomini in ogni tempo)
ho incontrato Davs
e abbiamo guardato nel grande Io.

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Parte tre
Dedicata a Davs Bloodink, a Emi e più in generale a tutte le persone che vivono dentro di me

Certo, respiro peggio,
ho duemila schiene,
il bianco di nevi svenute,
annegate in un inverno belva tropico,
escandescente.
Un’ombra azzurrina
ha a che fare con Constable,
con Friedrich questo luogo.
Marci di tabacco e di psiche
a lunghissimo termine, Io Davs e la sua mistica dama Emi
mettemmo sassi in equilibrio
l’uno sull’altro
(per riprodurre il disequilibrio dentro al self)
fissammo l’io specchiato
su ogni natura d’acqua
sudando l’Essere dalle mani.
E loro sono due bambini fantasmi perduti in un incomprensibile vascello.
Montagne titaniche guardiane
della morte prima della morte
della vita dopo la vita
esercitato come esperimento automatico
da noi su di noi.
Le pelle divenne Drago Rosso
la ghiandola pineale smorta
non reggeva più nulla
e dall’esterno e dall’interno.
Se voglio dolcezza so che il dolore che porta
non svanirà mai.
Se voglio la mia anima golosa
risplendere di blu 
è necessario controbilanciare
con commozione.
Ancora hai tutti i tuoi vent’anni davanti
ed un cranio in costante
discesa-ascesa
caparbio museo
dell’aver sofferto ridendo.
Non è stato possibile
separare contenuto e forma,
hai troppa poca esperienza
anche solo per illuderti di comprendere
la bellezza.

Puoi diventare oltretomba,
anche per qualcosa di momentaneo.
Vive anche la versione di te stesso assassino invasato
lì dentro.
E allora gonfiati di romantico senso di perdita
come in quadro di Fussli
e poi torna in spiaggia però,
dove il solco non sarà mai abbastanza profondo
perché il vento non lo ricopra di nuova sabbia.
Tra un po’ metterai radici
e diverrai la palma che hai sempre voluto essere.

私 が 正しいと 思っていることから、
胸の夢中 は 消えた

Hai ragione, hai solo ragione.
Sarò il tuo scudiero, Sir Fosforo.
Starò al tuo fianco fin quando
non ci saremo entrambi evoluti
e tu sarai allora, nella vecchiaia,
lo scudiero mio

Il viaggio non può concludersi con la fine
E ti vedo e sei un mucchio d’ossa
e non ho bisogno di passare del tempo con te
per capire che ci conoscevamo già da prima, da molto prima.
L’inquietante vincolo che ci porta a manifestarci come
esistenze tangibili quando in realtà di tangibile non v’è nulla,
tu hai addosso il dolore dell’uomo.
Eppure ridiamo, bestemmiamo, ci comportiamo come
ragazzini filosofi ribelli, sembra che abbiamo ancora otto anni.

Riguardo te, invece,
incapace di scordare le cose
sapevo di averti incontrata
per un ordine cosmico di fondo che m’insegnasse
dolore astinenza lutto e separazione
e ora te ne vai aliena in un mondo d’alieni .
Ieri mattina sorridevo, prima.
Poi ti avrei morso, ma con dolcezza infinita,
quei due vigliacconi dinghi
tra videogiochi e marijuana
non sapevano tenersi se non con coltelli e pungiglioni
e adesso impareranno dalla vita
a non considerare la bellezza come un immeritato premio
o come un premio
e a non lasciare che l’odio verso un sé di spine si divori i legami.
Mi arruffo i capelli, sorrido di fango dolce,
la mia parte femminile lunare mi abbraccia da dietro.
Ho capito d’essere d’un inevitabile senso unico
che si raggruma in un contorno,
la triste forza che ne deriva.
L’ho capito con la mente, con lo spirito,
ma non con il corpo.
Nel frattempo ho addosso strani odori
capisco che vibriamo all’unisono ed è
un universale ferirsi o sorridersi
ma lasceremo il posto a ricordi migliori,
se ci tenevamo per mano nel passato
(e mi riferisco non solo a te ma a tutte voi in particolare)
lo faremo volenti o nolenti
e nel presente e nel futuro.
Sbalzati avanti e indietro oramai il mio mistero
è lo stesso che uccise il figlio di Helda Doolittle
o che stupefece l’Egitto dalla sommità di una piramide,
non faccio che vederlo ovunque.
Se non che la facoltà temporale particolare
proustiana
mi presenta davanti anche
le corse coi Chocobo
o il martirio di Squall per lo spazio,
che ho che non va?
Sento Crono che si mastica i suoi figli cioè noi
come un chewingum,
ho a che fare con visioni,
stelle rattrappentesi in coro,
etimologie scorrette,
il lavoro filologico d’estrema accuratezza
che progetto e compio contemporaneamente
sulla mia anima marina.

Poi le mani di Emi mi stabilizzarono i chakra,
ad occhi chiusi lo stesso tentativo d’essere roccia
si tramutò in una stella,
vorrei vedere come un gambero mantide.

Donne non la smettono di piangere,
ero contento tutto sommato
della tua lieve violenza
sul lettino degli ospiti, scusami.
Sviscererò da me la sciabola che non sei più
e ti vorrò un gran bene.

Intendo dire che tutti i discorsi degli uomini
e i sospiri tra i pini
e la mente naturante della natura
emettono lo stesso suono,
controbilancerò?
Sarò onda?
Tempesta di ceramica breve?

Se, metti caso, ti svelli gli occhi da quella testolina di cazzo
e li piazzi un attimo al di sopra della stessa,
forse vedi il lento ed infinito gioco dell’oca
iniziato quando il flauto della super-coscienza emise il primo suono
o anche, per buttarla giù meglio,
quando alcuni bambini nati negli anni ’90
camminarono fuori dalla vagina delle loro madri
ed ereditarono
dal vortice degli anni ’60, ’70 e ’80
quel muso spaccato di moderno
che non voleva a tutti i costi
diventare il postmoderno che è diventato
È il dramma di rivivere la mitologia tra le righe
della propria storia d’amore.
Tutti siamo di volta in volta Prometeo, Achille,
Nausicaa, Shiva, Mosè, Amaterasu etc ec.
Ed è così che in me si schiude la vera corona di spine
che in tutti gli uomini ha il trono.
L’anima è una grazia vestita di seta,
una soda pelle abbronzata,
un teschio lucidissimo,
danza per sanguinare un disegno sul palco,
come un sufi.
Ed io non so più chi non sono,
cosa non sono,
dove finisce l’estensione del mio fuoco interno,
se vi ho immaginati tutti,
se vi ho immaginate tutte,
dalle coste della Sardegna alla vecchia casa di Nora.

Ma chi ti ha fatta entrare?
Sembri Rei Ayanami anche tu.

Vecchio critico bastardo
appuntito come la barba che hai affilato
per non mostrare- con gesto d’inutile stupidità-
il tempo malato in cui credi,
qui non troverai che una bomba di referenzialità
e auto-referenzialità e metà-referenzialità,
è il mondo che ci hanno consegnato in mano Umberto Eco
e, prima di lui, quella fenice della casa Einaudi agli albori
e nel ‘700 Laurence Sterne.
La morte del cinema muto
si ripercuote
ma non ci sono più tutti quei soldi in giro.
Ci siamo resi scheletri per nasconderci nell’armadio
del capitalismo e del bieco cieco disordine puttana
nella mente dei cittadini.
Con queste mani, queste vere mani,
estraemmo dal caos primordiale arcano
ognuno il suo strumento musicale preferito
e suonammo come tanti Valar
quella che è la voce di ogni esistenza
in un anfiteatro greco lungo come l’orizzonte

Tutto, tutto appare chiaro in maniera estrema.
Non ha nessuna importanza
la quantità di denaro che investite
per una Louis Vuitton,
vi taglierei sul volto per distinguervi
dai veri illuminati.
Vedi? Ancora una volta distratto dall’odio
verso la gente
ho perso di vista una delle infinite piume
lasciate cadere per caso
dal variegatissimo drago del Nirvana
Tutto, tutto appare un po’ più chiaro.
L’hara ha smesso di piangere.
Non è vero che abbiamo perso la coda
con l’evoluzione.
Due giorni possono benissimo
contenere il giorno e la sera
e le canzoni di mille bardi,
adesso sono oltre te, almeno su carta.


Catapultando me stesso tra le mura
è sempre l’illusione d’un mondo di fronte ad un altro,
non è cambiata di una virgola l’esperienza dell’agape.
Hai ancora sette anni o tremila
non è rilevante. Piango. A dirotto. Come la fontana che vorrei essere.
Gli occhi si pestano nei vicoli del cranio.
Il cervello è caverna salina brulicante di vita nascosta
Estrarre la demonicità più greca più maieutica
che urla e urla γνϑι σεαυτόν (gnoothi seauton)
e non ti lascia mettere la testa sotto il cuscino un momento.
Piango come se avessi assistito al funerale di Nujabes,
alle palpebre magre che avevamo,
al lento toccarsi, leccarsi,
(mi manca ma è come se guardassi un quadro dove mi manca)
al fatto di non controllare il mostro della mia apparenza nel mondo
che come un’idra di tentacoli generati tutti da un punto nell’osso sacro
manipola la mia testolina hippie,
penso che ancora una volta non è cambiato nulla,
giocando a scacchi con le dee
la scacchiera aveva solo colori diversi per farmi credere che  stavolta avrei vinto.
È strano, c’è Oscar Wilde,
prima sentivo lui tapparmi gli occhi con le mani
ogni volta che m’innamoravo.
Questa Nostalgia non sa di arte tuttavia.  
È qualcosa che conserverò nel sorriso che ne verrà fuori
ogni volta che svuoterò l’urna cineraria
delle versioni parallele di me stesso
che vanno morendo col passare degli anni.
“Sono invecchiato”, diceva una. “Ti amo” diceva un’altra.
“Mi ammazzo, mi si lacera il petto,
sento il dolore del cosmo riflesso su di me” diceva un’altra ancora.
Ticchetta la mente mia verde foglia
è stanca d’arpeggiare e arpeggiare e arpeggiare,
solfeggiare il mondo è difficile, ma è più difficile solfeggiare Bill Evans.
Intanto chiudi il baule, ripeto.
Lei ti saluterà da lì dentro con il suo viso tremendo
eppure elfico, dolce, reso folle da ego spropositati come modelli
ma d’uno splendore pallido che t’incatenerà ai suoi occhi,  
ti parlerà del suo senso di derelitta sconfitta che trasuda
una bellezza spropositata,
del suo estetista,
del male che porta dentro
e che se la sta sgranocchiando con calma
mentre tu avresti voluto prendere quel fiore
e con calma curarne ogni ferita,
vedo la luce degli altri ed è un piacere immenso e masochista
quello di farsi ustionare la pelle più nuda.

Siete tutte belle da guardare, è il mio vero vizio questo,
lo stesso che dilapidò l’eredità del papà di Baudelaire
per mano di Baudelaire stesso
Mi manterrà giovane e saggiamente screanzato.
L’aria è un concettismo odioso, racchiude in sé niente
ed è dimentica dello spiritus mundi.
La natura aprirà le cosce al suo servitore dai capelli ondulati.
Se invece dimentico tutto?
Immergo la testa nel lago, di nuovo. Anche il nome che mi hanno dato.
Il sapore delle lacrime è dolcissimo.

*****************************

Non sai neanche più chi sei
Non sai neanche più chi sei
Non sai neanche più chi sei
Non sai neanche più chi sei
Non sai neanche più chi sei

La notte passò ancora
fatta di rossa lana.
Abbiamo riallineato- forse-
le energie ai loro colori giusti

Devo lasciarti al Nord
senza più assorbire
l’essenza degli occhi tuoi
con la spugna delle mani mie.
Da questa morte verranno
fiori incredibili
sul torace d’entrambi.

Sono pagine dedicate a tutti e tutte,
i precisi accadimenti che si verificarono
tra il ventinove febbraio ed il dodici marzo duemila sedici,
in quei giorni la mia anima era bianca e azzurra
e conficcava gli occhi nella sua prigione
ed io, che sono la prigione, mi contraevo come un epilettico fantasma
in una fredda mattina,
ho le capacità sbagliate. Ogni evento è filtrato dall’infinito
e diventa una chimera titanica,
è come se l’amore dei vent’anni tuoi che muore
fosse l’amore della coscienza universale stessa
che nega il suo fascino esaustivo alla terra ed
il mio petto è un altare per le cazzate della mente,
è come se stessimo guardando il più superficiale, stupido,
contemporaneo clown e riconoscessimo in lui
il fascio di luce arcano da cui siamo fuoriusciti.
Tu l’hai già vissuta la tua vita, e l’hai sognata tutta.
Eri già solo o con qualcuno o ancora solo, adesso c’è del magma
nel tuo vomito.
Mi manchi, ma è un riflesso condizionato
dalla dipendenza.
E tra un po’ riderai del fatto d’essere comunque
un triste umano che non capisce le emozioni che sente
e la loro estensione,
i giovani cazzoni impallidiscono.
Si susseguirono infatti
turbini tabagisti e mantra d’ossessioni,
tremavo e non capivo.
Una notte da te per non dimenticare
d’esercitare lo spirito
ad una sofferenza inadeguata pura impestata.
Non riesco a renderle la giusta gloria,
è stato di più un casello di buie notti
in cui ogni giorno combattevamo
per veder sorgere il sole.

Tuttavia rieccomi,
rinato e sporco
bovino non marchiato in alcun allevamento ,
il viaggio non può concludersi finendo.
Mentre l’anima, che è azzurra ed è vento palpabile,
ha sempre saputo l’estrema vanità di ogni desiderio
contenendo a priori tutto lo spazio-tempo,
il corpo non fa che tremare e sbavare e cercare
un grembo dove appoggiare la testa
per non pensare al futuro. Il futuro. Il futuro.
Ma esiste?
Sarò? M’accorgerò d’essere?
Ricorderò che desideravo arrivare?
Frantumando rugiade minerali
provi a tirar via la pelle dalla testa.
Di nuovo.
Mandando le mani guardinghe a frugare
nel sacco del cranio.
Ed intanto tu sei la neve.
Non serve dimostrarlo è impossibile.

La psicoanalisi presuppone sempre
una buona dose di schizofrenia,
chi è saggio capisca

****************

Parte 4 : Anabasi
Per Paolo, Jimmy, Alessio, Me.

Capaci come siamo di
“trasumanar e organizzar”
nel volto abbiamo inciso
un tatuaggio di dei che nessuno può vedere.
Il lungo viaggio verso l’interno:
un incrocio tra ricordo,
imago e trascendenza,
le chitarre distorte lesbiche
lentamente si strofinavano il clitoride
l’una contro l’altra,
Alessio è un vecchio satiro
mosso da arte, surrealismo,
oppresso dal peso di un continuo auto-miglioramento
e picchia sui tamburi con destrissimo vigore
In mezzo a quel miasma
vuoi sludge metal, vuoi psychedelic rock,
vuoi alternative, vuoi progressive,
io danzavo con le dita
bianche e nere nei diesis e bemolle.

Siamo perturbabili fossili
d’un istinto creativo primordiale
e genuino.
Siamo una bambina innocente
che scopre la morte, la masturbazione,
l’odore delle margherite.

Otto battute d’un sol#,
siamo l’esercito di greci e mercenari
guidato da Senofonte
che attraversa la foresta malsana del mondo
come un vettore dritto puntato scagliato
dentro l’intima dimensione dell’io

Poi vidimo il mare,
armonia, metafisico mare d’oriente
che ammanetti il cranio mentre lo divarichi,
vidimo la luce, il frastuono,
Paolo è una vergine con in mano l’oceano sonoro,
Jimmy ha sposato scienza e spirito
come nessuno ha mai avuto il coraggio di fare,
il Rotary Organ
è il martello contro la testa del vostro falso dio,
siete stronzi, ipocriti, infami,
alieni venuti da un mondo
d’odio e vergogna e menzogna
cani impotenti che stanno adesso
sbavando in fila per il nuovo
Galaxy S,
mentre noi abbiamo combattuto
il Dario dei nostri bisogni egoistici
andati in frantumi,
del nostro scellerato cervello,
delle mosche sull’immagine futura
del nostro cadavere.
Usciti dalla foresta
una luce inesprimibile,
Anabasi, venir fuori dal finto sogno
e ritrovarsi alle porte
di quello vero

Pt.5: Il linguaggio sono io           

Il linguaggio sono io.
L’essenza di Langue e Parole,
quello sono io.
Ma essendo io anche voi,
il linguaggio siamo noi.
È l’estensione naturale innaturale
della coda del pensiero.
Ma trappola dentata e con occhi chiusi
proverai a prendere l’etereo per spiegarlo
e fallirai.

Andrò contro certe religioni maledette.

Veramente, rifletteteci,
e troverete nella chiesa
molte più analogie con Satana
che in un cobra maculato.

Poi l’uomo più brutto e sporco
(con un eskimo però)
si alzò per urlare contro gli spettatori.

Scusatemi tanto, nuvolette leggere
nel cervello mio.
Non ho alcun ordine espressivo, è vero,
butto giù le cose così come mi vengono
e non è molto professionale.
Però vi odio tutti e non accetterò da voi nessuna critica
nessun suggerimento
sul concetto di “ποιέω”.
Io creerò perché come in un eterno ritorno nietzschiano
ho già creato

Tenendo per mano Leuconoe
e non più i tremendi segreti psicotici
delle menti “nobili”.
Ed urlando lacererò le corde vocali,
piangendo scioglierò gli occhi
ma sarò libero
e me ne sarò tirato fuori da solo
come Munchausen

C’è un flusso di Anima
che scorre e mi fa sudare a dirotto,
tu invece eri serena.
Ma prova a comprendere!
Se non ti sfracelli su una scogliera
non saprai mai quant’è bello il tramonto
visto da lì!
Se non muori non morirai mai
e sarai in trappola tra antenne,
denaro, decoder e Gesù sul Golgota.
Fuggi, fuggi tra le mie braccia,
tra le braccia di Verlaine,
tra le braccia di Saffo.

Ogni dualismo è sciolto.
Non lo sento per davvero,
avendo una spada continuamente conficcata
nel vero centro della testa.

Ogni dualismo è sciolto,
è una menzogna più vera dell’acqua tra le mani.
Lo capirai spaccandoti il cranio contro una conifera,
quando il corpo tremerà di gioia al pensiero
d’un’altra crepa 
e tu, tutto convulso ed epilettico,
vedrai il principio androgino d’ogni cosa
prenderti per mano.

Murasaki è finito senza che nessuno
se ne rendesse conto.
Il tempo è cera
sul viso d’una saturnina donna,
ho proprio perso di vista la realtà.
Vissuto tutto nel quinto chakra più azzurro
è stato come in eterno danzare
su un prato di stelle.

Poi una fiumana di anime donne
È l’apocalisse più rossa,
due figure taurine mi circondano,
una femmina immensa massa spirituale
avete tutte gli occhi inquietantemente allargati,
grazie per avermi privato della pelle con pochi colpi,
grazie per avermi posto al centro del tuo terzo occhio
per mostrar me stesso come unione fondamentale
di tutto il dolore dell’universo
di tutta l’allegria dell’universo,
epilessia, tutte le mie donne che scorrono in fila
di fronte a me non fanno altro che dirmi “non siamo esistite,
siamo tutte la stessa donna”,
soprattutto tu ed i tuoi occhi d’immensa paura.

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Lunga poesia censurata:

[…] Sguazzando in quest’istinto così potente
che ho
nel criticare il diverso
la mia è proprio discriminazione sociale.
Odio voi e la vostra ventiquattr’ore
e la vostra moda
e il vostro maledetto attaccamento al denaro.
Sparirete in vortici di non-io.
Come un demone bambino
la mia è più che altro insoddisfazione.
Fame dell’anima mia. La mia vecchia anima
dall’estensione non calcolabile.
Maneggiando odio e amore
e blasfemia
mi sto lentamente acquietando,
il mio corpo è l’insieme di tutte le acque del mondo
di tutta la terra del mondo
non voglio scomparire
non voglio non scomparire

Mi guardate e non avete la minima idea
di cosa significa creare.
So d’essere dio, non v’è alcun motivo
per il quale non dovrei esserlo.
Il principio creatore è l’infuso con cui m’hanno fatto.
Vi distraete nel piacere erogeno più primitivo e violento,
che c’è da dire, vi invidio naturalmente
ma di più vi compatisco
e non avrete vissuto un secondo della vostra vita.
Schermati dall’interno
vi siete infine fatti possedere
dai demoni dell’industria petrolchimica
che è quella mente nera. Nera pesta.
Siete lo spazio d’inferno dedicato
ai bambini idioti che hanno spento la loro anima,
siete occhi completamente bianchi,
e tu poeta sei l’io bugiardo attore immaginario
del cosmo.

Pt.6, o ultima parte:

Settle Down”
Disse John Dyer Baizley
con quegl’occhi
da bambino
d’assassino
e noi tre angeli e demoni
sguinzagliati in prima fila
col sangue tra i denti
e la neve che nel petto si scioglie

Dimenticherai quest’odio e quest’amore,
sarai disperso in altri ventri.
Vorrei tanto che il mio torace fosse divaricato dalle costole
e che un’anima venisse, azzurra e quieta, a viverci dentro.

Prosciugato da un singolo bacio sulle labbra,
dì addio, dì addio
e intraprendi la strada di fuoco e fiamme che hai davanti.
Nessuno stritolerà il cuore tuo
adesso che ti è stato permesso di toccarlo,
nessuno ti stritolerà.
E la perdita momentanea di connessione coi sensi,
le bodhisattva,
la luce aureorale,
cosa sono io se non un indimostrabile cosmo infinito
senza più frecce all’arco?

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