martedì 1 novembre 2016

Pasto d’aria o gli schiavi liberti

Spiegherò, o illustri signori,
che “a tratti”, “a tratti” è la birematica
che più s’adatta a codesto
piccolo serpente vorticoso
che sembriamo essere.
A tratti.
Continuamente in distopica avvenenza
di ciò che è più intimo
ovvero la fonte marina
omni-magica
sotto i capelli, bruni o biondi
che siano.

Spiegherò, o illustrissime dame,
d’ogni reame la necessità intrinseca
d’un anarchico tribale mutamento
e di come questo reame nostro
sarà sporco e ancora sporco
e ancora, tante volte,
prima di lavarsi il meraviglioso viso.

I totem, le ziqqurat, i vecchi sacerdoti,
lo tzolkin… andati, perduti, riscopribili solo
nella mente.
Gli ainu perduti, mischiatisi
all’ honshu migliaia di anni fa.
Babilonia, Sodoma, Gomorra,
Gerusalemme,
Carthago, Adrano,
Alessandria, Roma.
Se respiri a fondo, veramente,
puoi sentire quella sabbia,
quell’acqua che a Maggio
si gonfiava abbondante,
o il mormorio del palinsesto
ripassata rassodata pelle di pecora
in cui i saggi schiavi liberti
discutevano utopici di libertà
e di sopravvivenza dell’anima.
Ma li ricordiamo solo perché
li avevamo dentro già da prima
da molto prima addirittura
che si verificassero.
Spiegherò,
o figli e fratelli,
che ho una corda per ognuno di voi,
vi tengo legati al cappio,
in possibilità l’umanità è tutta mia.

Respiro, pasto d’aria.
Pasto d’aria.
Bevo, pasto lauto, pasto d’acqua
e ronzano intorno gli antenati
felici d’aver tolta la polvere
di dosso.
Il logos dentro ad un sacco
che, non si sa come, cammina.
Ed è paroliere, ragioniere, poeta,
musico, bardo, matematico.

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