mercoledì 4 giugno 2014

La gebbia



La gebbia

Cielo
si chiama
come
un
timore
di tuoni
sconsiderati
ogni
identico
turbine
è spezzato
dentro
dal
piccolo caso
che non importerebbe
mai a nessuno.
Gli occhi sbagliati
e la saliva
che avevi in bocca
tre anni fa
sapeva di
Cinema muto
e novelle vague

Io al tempo
non chiederò
di versarmi da bere.
La peste in faccia
ce l’hanno
e prendono a calci
alberi di spade,
l’otturatore
si chiude
due secondi dopo il previsto.
è finita.

Ci rimarrò
sconvolto.
Togliti la benzina
dal corpo
sennò
mi avveleni.

In tutte le tombe
troverai
un rimasuglio
di fanti

L’aria azzurra,
non siamo noi
i testimoni
dietro le colonne di legno

Poi
la vita
li ha distrutti

Cominciami
a camminare
addosso
poi la fretta,
di nuovo
davanti al muretto
ci troverò
spighe
Aspirina
e serpenti
ma è bello da guardare.
Credevo di poter parlare
con il mio riflesso
nella gebbia

Artemisia
e Belzebù
dietro
non fa del male a nessuno

Schiene
sparate a forza
nel tetto.
Le otto di mattina
gli odori
troppo sole
e il balcone di ferro
ricorda un po’ Tim.

Siamo vernice blu scuro
siamo immagini
nel cervello
tutto quello che ti dicono
è falso.

Mia madre
come un doppio
negli scacchi cinesi.

Che spaccami le ossa!

Dopodomani
non resisterò più
e vorrò solamente
decelerare

Mi escluderai
per forza
dai muscoli

I bambini hoydìa
stracciano i cartoni animati
a sangue.

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