martedì 10 dicembre 2013

giugilugliugliugòiufiyiuboi



Siamo stati usati così tanto dagli anni oddio non ricordo neanche dove stavamo.
Mi accade spesso l’irrealtà, mi risolleva dall’ottimismo quel grigio torpore.
Io posso solo dare me stesso! Si può sperare che quest’anima giovane e fradicia si rispecchi?

D’altronde è il mestiere dell’esistenza così privilegiata
oserei dire così mesta.
No no anche se critico spesso chi mi sta intorno io vi giustifico tutti a priori,
sono forse io l’unico vero oggetto della costante critica psicologica veramente valida e senza senso
Sì perché in fondo siamo tutti esserini che non possono fare a meno di fare ciò che fanno, e non parlo
di apparenze, non parlo di quello che si vede fare, parlo del contatto più umido e dolce che c’è con la propria identità, parlo del riflettersi addosso, parlo dell’immergersi nel non-sense che in fondo abbiamo dentro da un’eternità dio santo.
È così deve essere così almeno per ora, la ricerca del tempo interno, la ricerca della stabilità fuori,
la vista delle prime nostre estati, la verità, la cazzo di verità!
Ognuno si sperimenta a piacere alcuni non si sperimentano essia!

Oh poi ci sono quelle volte che la bellezza della realtà è insopportabile, e incontenibile.
Che questa sovrapposizione di miti e immagini e fontanelle interne sulle cose fuori rende tutto
un simbolo plastico, un’anarchia concettuale, uno sfogarsi di psichedelici istinti che stanno tutti dentro la nostra anima primitiva e moderna, usata e vigile ad un tempo solo.
Insomma, parlo di certe inarcature di schiene femminili, di certi culi, di certe mosse patetiche e folli,
di certi sospiri, di certi sfioramenti di senso , di certe parole o sguardi, trascinano velocemente pezzi di qualcosa che è dentro da quando sono nato o da poco dopo, a volte nemmeno respiro.

Oh dai non dirmi che sono il solito arrivista di intelletto, il solito concettualista Nietzscheiano venuto dal 1913……
Io sono alla fine plasmato dalla e plastificato nella società, nella tisi della gente, nella malattia degli altri,
nella depressione delle cose, nello sfiorire della civiltà, nell’invecchiamento di vanità perfette e dee.
Così mi distruggo di sera, amo le cose scritte dagli uomini vecchi e passati, amo ritrovarmi nelle anime tristi che girano tra la luna e le schifezze autostradali.
Potrei piangere un secolo per colpa di tutte queste cazzate, potrei davvero suicidarmi a causa di tutto questo elementale e profondissimo scombussolamento dei cuori, e mi dispiace che anche io dopo tutto non amo quasi mai le cose reali.
 Oh è da quando abbiamo cominciato a credere di essere unici che la speranza si assottiglia e si accoltella da sola, oh è da quando è stato necessario separare i corpi degli altri dal nostro, la coscienza degli altri dalla nostra che in fondo soffriamo come randagi idioti, è dai tempi della presunzione di essere diversi che ci siamo auto-maledetti e strappati via da soli dalle conseguenze naturali dell’amore vuoto e inutile, della vita lunga e prolifera. In fin dei conti si vorrebbe per sempre drogarsi il cervello, annacquarsi di venti e di umori,
nuotare tra i fiori perfetti di donne e tra questa sensibile parvenza di esistere.

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