martedì 5 maggio 2015

Giovane (o Horus)

Giovane
(o Horus)

Ancora troppo giovane
per poter guardare negli occhi
la linea violenta del sole
i mutamenti del caso,
un giorno una fortezza
una bandiera
quattro mani

Come zanzare e altri pappataci
che a forza
con ogni loro fibra
trovano un modo per entrare e farsi strada
oltre la plafoniera
nel neon della lampada,
ammirarlo e morire.

Lavarsi in lacrime mostri,
i polmoni staranno meglio
non mi ammalerò,
tutt’intorno
fiori spinosi
rovi e bacche
artigli e gonfi tagli alle caviglie
serpenti che strisciano
l’astro abbracciare
discretamente maledetti,
tutto successe in testa
nella testa
per la testa.

Tant’è che la rete messa lì
aggrovigliata
aveva un po’ i tuoi lineamenti,
non soffocherò io.
Una finestra si spacca
l’uomo-coniglio
è fuggito
giù dai campi
nei terrazzamenti di vigne.

Un frutto senza semi dentro
chiude il circolo riproduttivo
di un melograno ad esempio,
non alla terra la controparte
di un accordo agrafo
mai veramente stipulato
tra animali  

Sfinge gravida
di cosa
non ho idea,
con una chiave inglese
osare rompere le dita a dio
mentre un pianoforte a coda
sta squillando rosse spudorate
vergogne,
la notte la notte
è il vero pericolo,
quando si accende l’incenso
e i morti ritornano
sotto forma
i simboli,
il frutto ritorna fiore
le note al contrario
comunque armoniche
corrono, battono,
allora e solo allora
nudo veramente
aver imparato a nuotare.

E non ali.

La tomba dietro il lago,
“uno di noi”,
da adulto eskimo
la gente posa
sulla tomba del figlio
strani token
a forma di Horus1
ma non compiangono
né veramente comprendono
la morte,
come io.

Dovrebbe calmarsi
e dare fuoco a se stesso
sulla cima più alta, signore.



















1: Horus inteso come la divinità egiziana col viso da falco, una scena vista in un sogno. 

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