martedì 23 aprile 2013

Della simbologia. (Tomo II: Il fiume di benzene e le Vans)



Della simbologia.
(Tomo II: Il fiume di benzene e le Vans)

Il fiume di benzene
sparte le strade sporche
tue. Sono tuo. È bello essere di stoffa.
Così, le gocce dalle labbra di
sotto
e poi da quelle di sopra
sapranno di diesel,
e quest’estate pornograficamente
inadatta
attaccherà ogni sperma caldo.

Non dovevamo aprire la porta
alle cose vere,
e saremo rimasti bambini.
I cretini, alla larga dalla tempesta
della spiritualità,
hanno ancora residui sublimi
di sporcizia romantica,
e penso che Catania è un gran
bel covo di anime tristi
che dicono il contrario.
L’idea perfetta per risolvere
la depressione meritata
è solo l’addizione di
stupefacenti nuvole di fiori.
Ancora fa male non esistere.
Tra me e i fantasmi
c’è una nettissima somiglianza,
e nello scolorar del sembiante
se ne va la religione e trova posto
la nostalgia di cose che però non ho vissuto. 

È vero, sono amore e morte
che spaccano i crani via via che il tempo
abbruttisce interiorità
prima scintillanti e normali.
È.

Sono il nulla in un arrendevole
posa che piega la luna e i suoi fantastici brufoli.
Ma io non voglio morire,
nessun agglomerato di cellule vuole.
Fiori di fuoco raderanno al suolo
l’olfatto e poi le mie allergie
e forse non dovrò più
stare male
per la chiara assenza di sentimenti
che da Facebook è andata a corrodere corpi già devastati.
Abbiamo perso l’immaginazione,
anzi non dovrei più usare la prima plurale,
dal momento che non ci siete.
In fondo,
arriviamo tutti al punto
di doverci resettare.
Anni di duro lavoro nello scavarci
si riducono in immense
e meschine inutilità.
Così,
saranno lucertole tranquille
o piccole rane,
avide nel non pensare,
avide nella felicità che deriva dall’inferiorità.
Ma tanto nessuno ascolta nessuno.
Mani appuntite
per la paura che una carezza
non sia abbastanza per uccidermi,
niente ferisce come la delicatezza.

Il panteismo,
nella pioggia del ventidue aprile 2013,
il fiume di benzene che oleoso
e colorato più dell’arcobaleno
(dolci migliorie che l’uomo
dà al panorama)
si è infiltrato nella pelle,
e già l’inquinamento
produce
grazie mai viste tra le caviglie.
Le Vans, per quanto comode,
diventano scheletri,
e mi ritrovo nell’ingranaggio
alternativo
della piccola felicità casuale
donataci come contentino
dall’inconscio bastardo.

Sono felice. È vero. È inaspettabile
l’inferenza di un paradiso artificiale.
È inaspettata la rabbia e il non senso.
Per innamorarsi
non si devono avere sovrastrutture,
così come i bambini semi-mafiosi,
o le bambine semi-troie,
o gli uomini semi-bambini o quelli semi-veri.
Tanta fatica per diventare squillanti perfetti congegni
che, in una metafora surreale,
sono soprammobili nella propria casa.
Il peruviano fatto,
Il peruviano ubriaco
e io
al seguito di una discussione
in coma
siamo giunti alla conclusione
che le ragazze italiane sono tutte buttane
o pazze (ho suggerito io).
È però vero che non ci si accoppia
se non con i nostri bisogni.
Per questo probabilmente sono stato con te,
Carla.

Tanto, tutto il mondo è un eterno svisionamento,
tale che
nel coma della gente si contrappone il coma dei singoli.
Il mio mondo si contrapporrà al tuo ma sarai tu a creare me,
e io a creare te. Per questo
l’immagine di Narciso è l’impeccabile
rappresentazione della merda umana. 
Alla fine, siamo tutti parte di questo congegno
drogato
che ci ordina
disequilibrio, dolore, odio, felicità a tratti
e soprattutto tanta tanta tanta noia.
Solo così ammetto che dio esiste.
Nel disordine meravigliose, awefull,
si piega il caos come eroina in vene già stanche,
e quindi sulla base di quanto non soffriamo accontentandoci,
saremo giudicati alla fine (sarebbe anche l’ora) dei tempi.

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