sabato 24 ottobre 2015

怒り

怒り

La rabbia.
Avevo bisogno di questo,
i frantumi dello specchietto
che andava a sbattere
contro i soldi nel portafoglio
di quel borghese;
Le mani sporche del venditore di caldarroste
sul mio debole petto;
gli occhi degli altri ;
la signora
che da brava mamma
consola in me i bracieri
e m’affida al suo dio.

È che lo stato
sempre l’ho trovato insopportabile,
e le istituzioni
e la dottrina
e la cultura plastificata

è un girotondo di ladri
che si battono il cinque
e bendano il popolino

Tale vomitevole sconforto
il dovermi anche io incastrare
in questo buio tetris
di bestie abbruttite
serraglio di tosse e avvoltoi
cadaverici

Una mannaia
contro la testa,
l’eleganza ormai
simbolista e francese,
mio fratello ,
sono cose che succedono
solo nel momento in cui
un nome gli dai.

Creste di sole
Giuda in una mano
e Rimbaud nell’altra

Diventerò anch’io
una tomba di sciacallo
con i denti ormai molli?

E poi Roberto Sanesi
e i suoi astratti cataclismi visivi.

Poesia d’altronde
è fuoco
ed introduzione al fuoco

Ed ecco che mi si profila davanti
breve
non ricordo più cosa

Frullando la propria testa
si ottiene
un divenire di simboli audaci

Ho capito, non ho capito,
vedo la vecchia faccia isterica
di Gian Maria Volontè
in “Todo modo”,
è tardi, le costole fanno male.

Come subordinati ad ossa

Ecco, una vergine cavalca un toro
verso una primavera di terra fresca,
un dolce languido testimone
di nutrimenti terrestri
cosa sono io se non
logos dentro ad un sacco?

Dall’altra parte
il richiamo dell’India
e non riesco mai ad imporre
questo cervello d’ossa.

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