mercoledì 22 aprile 2015

Rei (III)

Rei (III)
O ultima poesia per Rei


Esisto,
come una nocca
da tagli e freddo
infettata, dilaniata.

Perché il quadro
mostra sempre
violenza
e mai verità?
Questa stanza evidentemente
non può brillare.

Catarsi nel teatro
dietro ai miei occhi
ho sboccato poche volte
ma buone.
La tunica ellenica si sporca,
la pelle che prima era sfoggio
e corazza
adesso è prigione
dove il calore brucia
e non c’è via d’uscita.

Rei, e tutto questo
miracoloso
vento
di eventi,
忘れ物
Da una tettoia non vedrò più
il vecchio Afon Taf,
dallo specchio solo
scaltre misure d’inquietudine.
Rei, e le cose che sfioriscono
hanno un particolare fascino
funerario,
tenendoti
e il tuo seno
e il vacillare di labbra
e Londra.

Anche madre idealizzare,
fino a non avere più notizia
del proprio aspetto,
a diventare invisibili al trauma
impercettibili all’occhio della coscienza
ed in questa dimensione oceanica
altri ed altri ancora
incatenare,
la mente è il capriccio
dei maiali e delle loro lacrime.

Perdona il terrorista
per aver creduto.
Siamo gabbie antropomorfe
piegate in due
dallo sforzo di non tenersi,
è sbagliato ma irresistibile
pertanto
credere
ad un passaggio
di significato.

Basta ho detto,
musica predefinita
rimprovero d’archi per me.

*

*

Questa artificialità
fa schifo
puzza di morte neonata,
scolpisci la statua
ed impreca,
diventa il motivo,
diventa la causa.
Questa artificialità
fa schifo, dicevo.
Ottura le valvole
e rende tutto
un grigio squallore monotematico.

Chi sedeva al banchetto
avrà salvo il viso
non gli sarà portato via
dallo spettro.

Quest’artificio è orribile,
scotenna i fiori
gli steli dell’anima,
spegne i tronchi più grossi,
la corteccia s’infetta d’afidi
l’eroe diventa
misero parassita
che esiste
e non sa come.

Chi ha aperto la tomba
del padre e della madre,
guardato lo sciamano
sacrificare l’amore
nel fiume Kunjaku
come un mucchietto di foglie,
chi ha visto la derisione
la mistificazione
gli aghi agitarsi in fila,
lui incontrerà lo spettro.

Un miscuglio di 4 corpi,
due uomini e due donne,
e non ho ancora compreso
la nave nel deserto
l’atmosfera illuminata solitaria
di quella villa d’ombra.

Un re che non conosce
neanche il suo nome.

兵兵兵兵兵兵兵

Il pozzo del cervello
fine non ha inizio
è un crollo continuo,
come pionieri
dimentichi serpenti
che strisciano in cerchio
見えない


*
*

Tarlo,
coda uncinata,
primo veleno,
secondo veleno.
Terzo e quarto veleno.
È una frusta
con all’estremità un sasso
sul viso freddo.
Ho potato, si, ma mai sradicato .
Tutta la pelle che cade,
io sono molto di più.
Una tenaglia, paradossale ,
inchinarsi è sbagliato
inchinarsi è sbagliato
inchinarsi è sbagliato.

*
*

Pane dolce,
c’è del vomito nel lavandino
domani mattina non si potranno nemmeno
lavare i piatti per la colazione.

Non ho potuto.

Demerita tristezza a palate
di loro iene del raccapriccio
adepte
antilopi
che non fanno altro che correre,
avevano lasciato Tj
a prendersi cura di Alex
ma non so quanto ha retto.

Ti finirò qui,
mattonella su mattonella,
telaio d’ossa brillanti
dove la resina ricopre
una verità amara,
qui, nelle lenzuola verdi,
negli orgasmi,
nell’overthinking
sotteso a quasi tutto.

A solleticare col coltello
la pancia della scrofa,
a tracannare.

Poi vedrò me stesso
trafitto da sotto a sopra,
santo, stella marina,
volpe indiana,
primitivo desiderio
di essere fuoco

Scattai,
deviando il timone
maledicendo la vecchia bendata

Che cosa rimane sul palmo:
Una città di ombre,
una turbolenta metastasi
di idee.
Lo sfogo su una pelle
che non è del sud.
Patetico limbo uscire
ed erezione,
è un miracolo questa
lotta anarchica
verso la calma del pensiero,
la quiete della testa.

Tenderò a questo,
si spacchino le creste,
non ho idea.

No no non perdonate

Gabbiani impazziti furiosi

Tenderò a questo,
si spacchino le creste.
Non ho idea.
Il vento ha smesso,
la coscienza zoppica
per finta,
Alessio in una foto.

Morire. Ancora.
Con stile.

Cavalcare la sfinge
giù
e via
dall’indebita morale,
essere testimoni.

Morte e calpestare
l’avana selva,
mentre nel cassetto
la pistola smontata
la colpa
di aver reciso
il proprio cordone
il buio dietro la nuca

Adesso il templio è aperto,
il negromante è pronto,
l’unguento ha un odore un po’ acre
ed è difficile
non ricordare Sole
visto dietro
slanciate colonne ioniche
pregiate dall’entasi.
Adesso il templio è aperto,
le palme si piegano
sull’anfiteatro greco,
lucifero risplende,
noi siamo il primo e ultimo
inferno
stelo falciato
normalità perduta
ambizione
di diventare,
disparità,
grumi,
la realtà,

il reame dell’irrealtà.

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