mercoledì 8 aprile 2015

Il polipo

Il polipo


Quanto buio nella camerata
la notte si stende stordita
sulla stanza nascosta.
Sofferenze e disgusto
da sogni rancidi marci scheletri
la colpa è quella di non poter
abbastanza aprire gli occhi
per vedere
le tenebre oceano
lungo il viale

Dà un taglio

Essere posseduti

Il soldato non lo fanno i muscoli
ma la paura sotto le ciglia

Un traghetto di illusioni
si spalanca il portone del petto
un ragno con sette zampe
tumori che parlano sulla schiena
sparge nausea e veleno
ride in modo così terrificante
da scatenare lacrime, suicidi
o, nel caso opposto,
resurrezione.

Mi basta la mente
aperta
come una vaga idea d’aria?
Dove sono gli indiani
con le loro tribù, le loro tende,
le  frecce, i calumet?
Lo stesso spreco d’universo
ammanetta una caviglia
al mattone scomodo grigio
annerito della logica paura,
in mano una clava

Voglio fluttuare,
patire

*
*
Dondolarmi tra le gambe
vicino al pozzo chiaro
desidero riavere le dita
una spada
trafigge il centauro
più innocente
sgorga sangue bianco perla.
Tu dentro.

La sposa ha il cielo addosso
le sue unghia però
piantate tra le lacrime
proprio per portare rispetto
e mostrare riverenza
se non addirittura
adulazione
all’entità maledetta
demonicamente bella e perfetta
che dentro lo spirito
rode e consuma
tesse gli eventi
in seta.

La psicoanalisi è terrificante.

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Volevo fluttuare,
patire.

Una voce femminile sovrapposta
ad una voce maschile
potrebbe essere una gran metafora.

La faccia di cazzo
impagliata
appesa
farcita di sangue
non urla
non può

Da che pulpito
ci siamo messi
la morte in testa
e l’abbiamo sfoggiata,
se a mala pena
contenuti
tra le braccia
di chi ci ama
refrattario coraggio
impiccato
sussulta di spasmi?

Non è verità…
è merda,
merda su cui sputare.
E in fondo
le facce dei cadaveri
che con le mani tue di vetro
hai ucciso
continuano a sillabare lentamente
pervertitamente
la propria colpa,
ciò che non hanno imparato
a visualizzare ed accettare,
il nome dell’armatura
che per vergogna
non hanno indossato mai.



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