lunedì 16 febbraio 2015

Mantide e noi

Mantide e noi

Massaggiarti le ali
prezzo non ha,
tu mi aprivi come
una bocca.

Uomo Donna
compenetrarsi

La perversione è l’unico accordo
che prevede una sola parte,
un finto compromesso in realtà

La mantide ruota occhi e testa,
me parece disgusto.
Falce e collo finalmente
insieme

Ma perché desiderare
dolore e pazzia,
perché cristallizzarsi
in metafore?
È l’equilibrio leggendario e tumorale
di cui tanto si è parlato,
questo,
pianta finta che mostra
siffatte venature
sbalzate placente
plastiche e traslucide

E io pensavo a quelle
cime
grosse, intrufate,
verdi,
al polline che ne consegue
su dita,
al gusto leggero d’agrume

I templi Shintō di Kyōto,
io,
nella testa solo nomadismo
rasserenato,
sangue è autunno,
vomitare dio.

Ho smesso di credere
all’eguaglianza di tutti gli uomini,
le stelle attorcigliate,
torturate, esangui.

Purtroppo è la serenità
che enuclea
problemi d’ermeneutica,
è di quella
che una forma sensibile
riprodurre è impossibile.
Non cancrena,
non gravidanze isteriche,
ma vetro, trasparente,
dove poter facilmente
distinguere
sé e gli altri riflessi,
e verità che finalmente
bruciano vive e scompaiono.

Comincio a smettere d’imbarazzarmi,
un femminile tramonto

E ripesco dal fiume
una voce così dolce
ed armonica…

Tu avresti infangato
la memoria
di tutti i morti
dentro di me, maledetta.

Fortunatamente
ho scalciato

e non esco

Bere dalla morte

Non lo farò, caporale.
Non adesso.

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