sabato 14 febbraio 2015

Maiale Circus Rivolta

Maiale Circus Rivolta

Era iniziato tutto
col sentimento
di chi si è sentito sconfitto
(non per forza stato),
ma la realtà non è
per tanto immaginare
e schizofrenia
è lecito
è la descrizione dell’interno.
Per questa ragione
si prova a vomitare
l’uno addosso all’altra
la carne l’aria
la carne l’aria
il petto
lo sbocciare sbagliato,
piccola ipsilon
che danza inerte
su un fuoco di foglio.
È capitato che il nostro ormai secolo moderno
abbia sperimentato
nella gabbia
qualcosa di molto più preoccupante
delle malattie veneree
dei crolli
dei postulati.
Lo definisco orrore,
presentatosi dentro germe
ad affogare le interiora
in un piacevole liquido viola.
Spicca tra tutti la morte,
vera protagonista
della transizione.
Così insomma
impoveriti a distanza,
recalcitranti bastardi
e fiori azzurri
non cominciano di certo
la rivolta.
Di grazia, spaccare
e vedere
spaccare e vedere
spaccare
e vedere.

Nel paradosso dietro
un pino
non ho ritrovato
che il lirismo potente
liberato da un contatto,
adesso il fuoco è spento.
Da tristezza possono nascere
cose diverse che lacrime,
cose diverse che regret.
Non rinnegare il tatoo,
non rinnegare il buco
che ora si apre e a piacere
si chiude.
Si deve zappare la terra
se è fresca, e verde, e morbida.
Puoi sentire il fiume Troina
e suoi grillitalpa
calmarsi,
l’evoluzione procede
ad occhi apertissimi.
È l’uomo che invade la terra.
Da abbastanza tempo
le multinazionali
collegate a flebo
e clisteri
sfibrano e scannano
il polmone, il gran polmone.
Incatenati dunque, con sguardi epilettici
e sinestesie,
a non poter mai vedere,
soltanto guardare,
soltanto guardare.
Dalla collina Hurin destinato
ad assistere alla sua stirpe
sconvolta
cadere
su spade verticali.

Pietrisco. Selvaggina.
Le lettere di San Pietro Apostolo
hanno un sapore
di grigio cosmopolitismo,
può piacere
come può non piacere.
Io mi rivedrei
al contrario,
e al contrario voi,
nastri per VCR
di polvere e gioia,
e matti.

Suino simbolo 
è nella mia incoscienza
di uomo,
i porci si svegliano
dopo aver grufolato,
negli occhi di questo maiale
si staglia una malinconia
come un’alta scogliera
di piccole gocce di paura.
Caro Flint, carissimo Flint immenso verro.
Mangiare e fottere,
e grufolare.

Avrei volentieri
condiviso il mio vino
un pezzo del mio pane
con S.Agostino d'Ippona

Adesso nel sesso qualcosa di sporco
prende il volo,
di nuovo non ascoltare,
di nuovo non respirare.

Se pensi all’infinito
vene tue
no che non reggeranno,
camminando male
asobi sex.
Grassa pressione fiscale
e molti già non ce la fanno
a continuare a svellere
la muraglia
dei vostri palazzi
delle vostre case,
le serrature dei vostri bauli,
e allora
scassineranno
la testa
dagli occhi
con un coltello ad uncino
acuminato.

Tu invece pensi a tuo padre
e all’accettazione di madre
e ti rovini la fica e i vestiti
e i tuoi traumi ballano in cerchio
attorno ad un focolare di repressione
e gioia maltrattata,
inutile pregare
inutile pregare
inutile maledetto pregare .
Synth, hai sempre detto di sì,
al buio toccare te
e prendere te, synth,
suono argento è tutto ciò che resta della famiglia, 
fontana luminare
non illuminare adesso
proprio la retta via.
Con una sigaretta spenta
che lentamente getta acidi fiabeschi
su labbra tortura
io non so più come si dorme
come si prende fuoco
come ci si addormenta con la testa a sinistra,
non per forza problematico ciò.

Nel porcile ritrovo serenità
verde acqua
ma dal macello
o scappare
o scappare,
nient’altro vi è.
Non è la giusta metafora
per esprimere
l’indifferenza sofferta
con cui ti guardavo
mentre le mura non sono mai crollate
d’intorno a me,
né la metafora giusta
per il taglio vivo, parlante,
filosofico, aperto e
sangue rancido
che ora può tranquillamente
finalmente
colare
colare
colare.

Bava,
voi funamboli
su una corda invisibile
anche lì marcire.
Voi vecchi amici
ricordate giubbotti smessi
ormai ad un chiodo appesi,
rincorrendo pace
fuggite da pace
e approdate
al colore rosso
dell’oblio.
Eppure,
c’è come un girotondo di lame
che ci tiene uniti, isterici, riottosi.
Psicopatologia della vita quotidiana
è
e rimane.
Attorno ad una pietra antica
non si ricorda e non si ride.
Tempie,
voi amici
come pezzi di animali
che vanno girando
tenendo in mano
la fiaccola
del passato insieme,
se annegherete
io con voi.

Non è per ragionare, tutto ciò,
non è per riflettere.
È solo un succo.

Alle pendici della grande torre
è assolutamente tortura
le grida fuori, il divertirsi fuori,
lontani dall’avorio, dagli arazzi
e dalle monografie dell’ego.
Ai piedi del palazzo
stare
e acqua non bere
e ditalini sporchi
essendo anche noi
catene legate a caviglie rinsecchite
da malanni.
Chi è uscito non è ritornato,
per lo meno non in una forma
dai sensi intellegibile,
dalle percezioni individuabile.

È tutto l’orizzonte che mi spaventa,
è la sua mastodontica compresenza
in un attimo lì e qui
che mi distrugge.


Da un ventre salato
si scollegano arterie
“finalmente non libero”,
azzardarsi a ricordare
che era l’erba vera,
il cuore, vero,
il buio dell’ombra, vero,
ma non lo scorrazzare pubblicitario,
non il banchetto politico,
non lo scheletro mai abusivo
di un ipermercato.
Non lo schermo nero,
lo “specchio nero”.
È invidiare qualcosa
che realmente
non si necessita di,
è armarsi tutti
contro lo spirito
che tutti compone,
un mantra oscuro
con al centro un occhio solo.

L’America poteva troneggiare
su un globo stilizzato
dove la Groenlandia appare più grande dell’India,
e infatti così successe.
Tutti smartly dressed
presero il posto
delle tende e delle ziggurat,
accoliti cappe viola
con mani magre sifilide
accarezzano ammalando
il viso
del vento
della pioggia
delle conifere.
Regina falsità, Regina Bugia,
Regina Telecamera, adorare te
e il tuo corpo firmato
e il tuo candore
anti-privacy,
confinando  adesso all’inferno
i nostri viziosi spettacoli
di crani e buste di plastica

Diamante come te
che perdi e ti sgonfi
e dimagrisci

So che a fuoco ci marchierete,
ci apprestiamo oramai a diventare
croci epilettiche
con occhi di granchio.
Tuttavia
esprimerò
non tanto la spontaneità animifica
quanto la contortezza glaciale
del pensiero,
la forza incontrovertibile
dell’affermazione “Io ho pensato”,
o “io ho potuto pensare”.

Per Pierpaolo

Contare sassolini roventi
pianta grassa allucinogena
deserti di ferro attorcigliato
con oasi di palme e di zolfo,
le correnti oceaniche
trasporteranno sale e fertilità
in un altro continente.

Naomi, tagiami,
disfrequenzami,
è una chitarra distorta
che compie l’omicidio,
necessariamente
gli occhi non guarderanno il pubblico
le mani faranno tremare altre mani
e scorderemo
e scorderemo.
Più animale più libero,
più lividi più libero,
disconnesso, ora.

Avvolgere i piedi,
piccolo delta della pancia
che porta alla sorgente, forme,
immagini,
contesti,
pietre,
contorni, canzoni.

Aver compiuto il proprio dovere nei confronti della fantasia,
presa, coi guanti, e portata in salvo,
lontano,
incorruttibile sarai.
Dipingendo di mille colori
il proprio corpo
una donna è appena diventata una bocca enorme,
troverò stringhe lì, e il mistero dietro mia madre,
e una collina bianca e nera dove
simpateticamente
affonderò.
Aver compiuto il dovere nei confronti della vita,
morendo.

Cristo mani sporche
di vino e di getsemani
pentendosi di niente
sanguinerà lo stesso

Circus horridus est,
tendoni raccapriccio
e bestie fuori luogo,
erano tutte uguali quelle troie
che affilavano le proprie unghie
e le proprie siringhe,
una distesa di sabbia sui volti già opachi
e un taglio di spada trasversale
significa 
esteticamente sbagliare,
filosoficamente commettere peccato,
antropologicamente autodistruggersi,
ricombinarsi e
giacere a morsi

E quindi Signor Sindaco
stai alla larga,
non osare compromettere ancora di più
queste ciglia rubate,
queste lacrime demoniache
che corrodono prima di compiangere,
questo acquedotto infetto appestato
da cui sgorga la nostra acqua fresca.

Dal vento nascere
come epidemie.

Signorina Rivoluzione,
ti sacrifico su quest’altare 
e sigillo il tuo sporco dramma,
toccami come hai fatto ieri.


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