giovedì 7 settembre 2017

Ultima poesia per Cormac.



Cormac caro mio, rilegato in verde ed oro,
ti ho donato un’anima con la mia volontà,
ti ho fatto dono della mia anima sdoppiata
e sei bello, nonostante tu abbia corso il rischio
di alterare le tue percezioni
sembri sano come un pesce
anche se dai albergo ad un insolito male.

Comunque, oggi ho camminato tra gli eucalipti
e la merda di cavallo, Cormac,
ridevo.
I miei bisogni sono quelli di un cucciolo di cane.

Danziamo a vibrazioni troppo violente
e alcuni uomini non riescono a seguire
il ritmo ,
sulle gobbe come dromedari
c’è il peso d’un passato
gigantesco e mutevole.
Percorrendo la linea più lunga
sulla mano
evolviamo la corazza
e ci separiamo a tenuta stagna.

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(22 agosto)

Splash-scherzavo.
Ho scritto solo la verità,
travestita da lirica
ho composto
la verità e nient’altro,
l’ho capito ricevendo
forza flessa
dalle dita degli amici
e dalla bocca.

Sì, ai posteri. A chi porterà questo nome: “distruzione”:
Mi sono sentito tradito, abbandonato
dalla mia compagna
prima di comprendere cosa fossi:
una pietra, uno scoglio,
un lupo di marmo.
Ed amarsi è come offendere
chiunque altro
all’infuori di me e di lei.  
Un altare immenso
ad esso è facile affidare
lo scelerato dilaniamento dell’energia
sublimata nel giglio, nel fiore dell’aglio,
eppure il calzino benedisse ancora
di essere stato spaiato. Era la conseguenza
d’aver crollato con i pugni chiusi
la casa del Nespolo
per conseguire il cieco ritto monito
di diventare sé,
di attraversare la spina colata di venenum
oltre.
Così si lascia terra bruciata al passaggio
del proprio destriero infuocato,
intendendo dire che il ricordo
è un pusillanime pezzo di eterno ritorno vaporoso
e ruota troppo lentamente
per la velocità oscena dei cicli e dei ricorsi nostri.
Così si lascia terra bruciata al passaggio
del nostro destriero di fiamma
perturbando il faggio, il cipresso
con la nostra volontà ossessiva
di determinarci
un desiderio alla volta
come fossimo il risultato e basta
di un unico infinito spasmo di bacio
e dolore sacro
alla ricerca narcisa di uno specchio,
con ciò intendendo l’altro,
l’infinita probabilità dell’altro all’infuori di noi.

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(il clan, pt.2)

Poi parlammo a lungo del clan
dicevamo che avrebbe retto,
che se il bene ed il male, melodie,
non fossero appassite
nella vana ubiquità dell’io
o nella vena morta della vita quotidiana
allora ad ogni rincontrarsi
le cicatrici di ognuno si sarebbero riconosciute
ed avrebbero emesso un tenue bagliore.

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È stato sincero e l’ha lasciata lì, ad Acicastello,
davanti al mare.
È stato sincero e con palpebre dimesse
le disse che non era innamorato
e che un avvenire avrebbe portato alla luce
nuove ombre sotto toraci e seni
sovrintendendo il dominio del tempo
restando immobili faccia per terra
per una buona volta.

La nostra generazione, nel mentre,
era su un letto
da sola
ad ascoltare xilofoni, lo-fi e synth dolcemente molli
tentando di soffocare il ricordo di essere nati e cresciuti
tra la fine del boom economico e l’avvento
dell’homus tecnologicus.
La nostra generazione, nel mentre,
era su un letto
da sola
ad ascoltare Echoes
tentando di soffocare l’idea che la resa
ci era stata già imposta
le bandiere bianche già consegnate
da navi ammiraglie a largo d’ogni mare. 
Restavano impulsi al posto di comunicazione,
spesso,
dunque fraintendendo carnalità con distanza, desktop,
ed antropos fu triste, lasciato lì diverso da tutti
cancro inadattabile alla natura verde.

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