venerdì 11 novembre 2016

Goccia

Tutto più automatico,
ecco, ecco, sono di nuovo
la Goccia Verde,
Giada, piccola saturnina
taumaturgica maga,
il Giubbotto smorto,
 una coppia di gemelli sui polsini
di una giacca blu di velluto.
Tutto sarà attraversato da tutto
tu lacrima di gatto
lacrima di cane pastore
benedetto discepolo dell’etimologica noia.
Mangia ancora un boccone,
e poi vola, separati, separati.
La materia è peculiare
sfortuna o sacco di monete d’oro
e siamo i denti della bestia
siamo ammalati guardoni
nel freddo italiano.
Perché la realtà
non ha fatto altro
che mandare messaggi
su una lunghezza diversa

Se in questo momento
stessi scrivendo,
materializzeresti l’infinito.
Vuoi che finisca l’onda
e vuoi che torni
come un mare di vene,
come i colori d’un fiore
dove non arriverai con la mente
saranno il corpo e l’anima
-le due bestie una rossa
e una azzurra-
a guidarti.

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E di un nuovo declino
datemi questa mastodontica sete
di battere su battere su battere
come cuori enormi che pulsano
(i bassi)
come respiro di grotta profonda
( i medi)
come fracasso di ossa su ossa
(gli alti).
Musica allucinante Dea,
sofia vera e propria.

(Come può esservi qualcosa
di più potente di me?
Come può esistere, o dunque,
qualcosa di più potente di me?)

Il tamburo è essenziale muta
e può essere suonato da chiunque.
È uno strumento anarchico,
come il pane.
Il pianoforte, invece,
lo suonano da sempre gli aristocratici.
Persi nascosti da parole
o da punti di vista
sotto lente d’ingrandimento. 

Santa giulia

犬、火、馬、気、也、牛、月

                 Santa giulia

Avevo chiamato “alcol”
ed è arrivato come un toro.
Ragazze acuminata
non manifestavi
che in-amore
davanti agli altri
e quando eri felice però
-non essendovi abituata-
potevi saltare
una montagna intera.

SE HO CENTO FUMO CENTO
(prima bottiglia che si spacca,
come da sola)
e nell’abuso
ti trovi in quella fase
dove potresti andare avanti a oltranza
nei vizi tuoi.

Pensavo che è giusto
non giudicare la vita degli altri
salvo sia irrefrenabile l’ideale di fondo,
e trattenersi, dunque, dalle risate.
Mi dispiace d’essere molesto, ora,
di camminare pesantemente,
ma questo è il mio io
e da nessun’altra parte lo vedrai.
Quindi eccomi.
Alle pagine dato
o al clan.
E seppellitemi.
Se non sto in piedi,
in cerchio, con voi,
parlando solo di droghe pesanti,
non guardatemi male.
 Ad ogni soffio
è sotteso un balzo,
ad ogni mente
la sua dimensione di porpore e avane
lastre.
Misurate,
ma l’anima, che è immisurabile.

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Annienta.
Annienta
rendi questi tutto
nulla
e spaccialo per strada.
Nel fumo, bollito in una bustina di tè,
ho trovato della plastica

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Kizu, Naori e Monty

Rimasto con un mazzo di banconote
nel cuore
e t’affrunti. T’affrunti.
La paura del futuro,
le donne passate
e tu volevi solo esercitarti ad essere un brav’uomo,
 metterti al loro servizio
per gratificare te stesso
o essere guardato.
Paura, paura che l’insoddisfazione
possa non andarsene mai,
non farei quello che faccio
e non me ne vanterei
se avessi potuto scegliere.
O forse è solo che sei così
intrappolato nelle cause
che non vedi le conseguenze remote
dei tuoi gesti…

Kizu, 傷、きず、
tu che sei una ferita,
tu che tutti t’insultano, ti lanciano pietre,
ti odorano nel profondo e guardano.
Kizu, piccolo Kizu,
tu che odi chi t’ha ammanettato
mentre eri cieco e sordo
e da zero a tre anni,
tu che ti esponi di continuo
alla burrasca e poi lamenti i lividi
e i tagli,
tu centro sociale occupato da mostri,
vecchia vittima mai sazia
lacrimosa
che attesti il dolore
come necessario collegamento
tra noi e l’infinito,
che attecchisci dove c’è più freddo,
che cadi di continuo.

E poi Naori、治り、なおり、
tu leggiadra Naori,
che curi e sorridi
e sorridi e sorridi e curi,
che sei armonica di Mi maggiore,
che tutti i tagli hai cucito
tutte le frecce hai levato con amore,
e ti veniva naturale solo amare il prossimo tuo
più di te stessa, Naori,
e levigarlo e conservarlo come un tesoro di notti,
come un graal, perché
nella loro rarità d’occhi brillanti
avevi ritrovato l’alcova della grande sfera celeste,
il prossimo tuo ma non tutti i prossimi,
perché v’era una grande selezione da passare.
Leggiadra Naori, carità in metafora verde,
dieci secondi di fermezza e pace
tra una corsa e l’altra,
coscia nuda stupenda da leccare.

E poi Monty, giovane ribelle, marte in ariete,
scattante fuoco dell’inconscio nostro,
bambino eterno
terrorista e brigatista.
Monty, rubato a una tigre o a un jaguaro,
principio di genio e invenzione,
artista che non ascolta nessuno, nessuno.
Monty caro, anarchia, velociraptor,
pugno sul naso,
ogni sistema lo odi
ogni istituzione la odi
ogni pubblicità
perché ne vedi subito
l’inutilità grottesca e melliflua.
 Monty caro, scappato dal tendone del circo
ed entrato nel petto mio
prima di avere un nome.

Mono e Alcest

Voler piangere,
e suonate,
subarashii mono,
suonate finchè potete
la vostra lirica di slide
e post rock
e veli trasparenti sull’ossa
e tristezza
e memoria che si è persa
al fondo dell’anima.

E la gente non poga più,
la gente sembra aver perso
la capacità di farsi attraversare
dalle onde,
anche davanti al più forte scream.

E adesso vomita su noi,
montagne,
che siamo acqua,
o Alcesti.

E la stanza generò cubi neri

Circondato da bellezza
hai finalmente fatto i conti
col tempo, dopo aver litigato.
Dunque ego, ego, plastico, mitologico.
Dunque ego, come nespola,
come pesca, come albicocca,
 la tua scorcia è orticante.
L’eremita, visto in una foto
prima che gli crescesse la barba
e tanto lunga diventasse.
Così corta era, quella barba!
Ispida, bruna,
ed è diventata un lungo stelo d’erba.
Hai tempo, hai tempo,
nei sogni dei sogni capirai
l’ulteriore messaggio, simbolo
che adesso ha ricoperto di prospettive
cubiste-imagiste
questa stanza qui, che è nera,
a anche la gamba ed il braccio destro.
E qualcuno venne e disse che a Marzo
me ne sarei andato.

Avanti, o inverno

Avanti, o inverno,
sono qui, al nord,
a petto nudo,
sulle rive del Po.
Avanti! Colpiscimi
con tutta la tua potenza,
se ne hai il coraggio.
Non muoverò ciglio.
E sai, sai, o dolce,
che sotto i tuoi guanti
di polare autocritica
la vita s’evolve,
la consapevolezza si arricchisce,
le mani strumenti
sul territorio dell’eterno:
sono felice di vederti felice
nonostante tutto.

Euforia #22

E le corna,
le corna s’incrociano
in segno di pace.
Ridi, bambino, che sei infinito,
che hai novant’anni
e ti eserciti ancora a vedere l’aura.
Ed il terzo occhio è più blu scuro
che viola,
sono già passati 4 anni.

Prato esteso boundless
e albero solo
e noi corna
solitarie
nate tra le braccia degli equinozi
siamo natura,
e quando felici possiamo ebbene baciare
la bocca di dio e dea
con codini di sole
sparpagliati al vento.

04 novembre

Luna, Marco su un aereo.
Ed ecco che tutto prende forma,
ancora.
È facile come accendere un fuoco

giovedì 3 novembre 2016

Due novembre (ii)

Pier Paolo ho colto per te una rosa
nel cervello, che moristi
per essere padre e fratello

Oh Logos, oh logos
che ci porti per mano ovunque,
così, a passi lenti
e di danza.
E noi siamo sudari,
eternità mal poste.
Non trovo divertente
dunque
le vostre burocrazie
o i vostri giochi
né interessante
la vostra musica.

Oppure porre un veto
e dire alla cascata,
alla fenice, alla sfinge,
al Kirin, che infondo siamo tutti collegati
nel mistero.

Ho poi colto l’opportunità
di imbarcarmi verso un bosco ancora più oscuro
e luminoso,
nota:
Non era tanto il sublime a farti lacrimare gli occhi.
Era, controvento, l’unicità di qualunque cosa,
che era lì e solo lì posta,
e non sarebbe potuta stare da nessun’altra parte.
Unica perché sospesa, attimo dopo attimo,
in un continuum presente diverso, senza alcuna
indicazione,
come la gamba d’un tavolo
o una sedia,
o una volpe
o un ramo nodoso e ricurvo.

Asso.

Asso.
E superato da varie emozioni
nella circonvallazione del pensiero
affido come se avessi vissuto cent’anni
alla grafite e alla seppia
questo pregiato scrigno,
contiene me e tutto il resto
tutto il resto pensante, immaginante.

Acqua che sei in me
e musica che vai tanto oltre.
Voglio uscire dal Macrocosmo!
Voglio uscire dal Microcosmo!
Voglio smettere l’apnea,
e respirare.

Ti lascio libera, nel prato del foglio,
apro il torace
e tutto quello che sai fare
e urlare
che andare via vuoi
e scomparire,
che sei tanto vecchia tanto vecchia
e col coltello tra i denti, ostinata,
mostri morte e lacrime e trasformazione
non capendo una curiosità infantile, immatura.
Quindi prendi il controllo,
permetti al corpo il volo
ma non lo vede nessuno.
E Corpo dunque crede di volare,
sogna e crede che non morirà
e Mente dietro di lei, e Persona a chiudere il trio.
Il dramma di ogni giorno pensato:
quello di un’eternità tradita,
e pugnalata.
Ma forte e saldo
dovrai vedere oltre la foresta
oltre la notte, che è la tua guida,
oltre gli amati amici.
Non aver paura di dimenticare tutto.

Arpa, Il lirismo è appassionante trappola
ed ecco l’autocelebrazione di me,
microcosmo grasso e ruvido
macrocosmo
miracolo e vortice.
Ed ecco l’autocelebrazione,
il banchetto di me
in onore di me.
Sembra non esservi altro.

E le donne e gli uomini parleranno
soffocati dal cuore che addosso gli spalmi,
mai superata la fase dello specchio,
mai superata la fase dell’eco,
dell’armonico sorriso
che trasversale
può illuminare tutto in un’istante.

martedì 1 novembre 2016

夢の 物語

夢の 物語

背中が低くて 眼鏡を かけている人は
品と書く漢字を 見ていて 結跏趺坐 で 瞑想していた。
品と地にかいてあった。
「この漢字を 二年間 座って見ると、飛べるようになる はずですよ」
と 言っていた。
僕はそうしたよ。二年あとで、飛べた。

Pasto d’aria o gli schiavi liberti

Spiegherò, o illustri signori,
che “a tratti”, “a tratti” è la birematica
che più s’adatta a codesto
piccolo serpente vorticoso
che sembriamo essere.
A tratti.
Continuamente in distopica avvenenza
di ciò che è più intimo
ovvero la fonte marina
omni-magica
sotto i capelli, bruni o biondi
che siano.

Spiegherò, o illustrissime dame,
d’ogni reame la necessità intrinseca
d’un anarchico tribale mutamento
e di come questo reame nostro
sarà sporco e ancora sporco
e ancora, tante volte,
prima di lavarsi il meraviglioso viso.

I totem, le ziqqurat, i vecchi sacerdoti,
lo tzolkin… andati, perduti, riscopribili solo
nella mente.
Gli ainu perduti, mischiatisi
all’ honshu migliaia di anni fa.
Babilonia, Sodoma, Gomorra,
Gerusalemme,
Carthago, Adrano,
Alessandria, Roma.
Se respiri a fondo, veramente,
puoi sentire quella sabbia,
quell’acqua che a Maggio
si gonfiava abbondante,
o il mormorio del palinsesto
ripassata rassodata pelle di pecora
in cui i saggi schiavi liberti
discutevano utopici di libertà
e di sopravvivenza dell’anima.
Ma li ricordiamo solo perché
li avevamo dentro già da prima
da molto prima addirittura
che si verificassero.
Spiegherò,
o figli e fratelli,
che ho una corda per ognuno di voi,
vi tengo legati al cappio,
in possibilità l’umanità è tutta mia.

Respiro, pasto d’aria.
Pasto d’aria.
Bevo, pasto lauto, pasto d’acqua
e ronzano intorno gli antenati
felici d’aver tolta la polvere
di dosso.
Il logos dentro ad un sacco
che, non si sa come, cammina.
Ed è paroliere, ragioniere, poeta,
musico, bardo, matematico.

Mattanza di fresche piume

Mattanza di fresche piume

“A dopo”.
Mattanza di fresche piume e pellicce,
e tu aspetti come il cane fedele che sei.
Tutto si crea e ogni tanto vorrei che tutto
si distruggesse.
Apprendista all’amore dato
al venerare
all’adorare dato.

Insomma, cubista è questo mondo,
fanopoietico è.
Sembra tutto ma è una parte
e una parte e una ancora.
Perché, o maestro, tutto è simbolo?
Quale funzione ha, inoltre,
il lago inconfino del nostro cuore?

E chiedendoti questa o quella domanda
tutte senza risposta
potevi sorridere immaginando
le infinite possibili,
come un bambino e una bambina.

Il mago (VI)

Come aprire le porte del cuore,
se tutte le insegne imperiali son state rubate
dagli antichi Parti?

Discutevamo
sulla struttura della magia ,
credo che sia più di una semplice emissione
di particolari onde,
credo sia divinazione.
La facoltà dell’essere vedente,
percettore.
Vestito di pelliccia di lupo,
come uno sciamano
che a tutto dà vita.

O Grande “Chi Sono?”
rispondi!

E dunque, vedremo
I colori delle auree
di ogni uomo,
sorrideremo alle piante
e ai perduti viventi
spingendoli verso di noi.

Ventidue ottobre

Nella tristezza del non sapersi più sorridere,
di giorno,
se ci riconosciamo felici e tristi,
ma non sappiamo più i nostri nomi.
E doversi per forza innamorare d’uno sguardo,
d’un colore di capelli….

Arrivare alla nuvola più bella
e guardare tutto il jibun dall’alto.
Rendersi conto che imparare
e ricordare possono, infine,  corrispondere. 

Mangiate finché potete!

Albero malnutrito, t’ho preso
e t’ho curato tutto,
abbiamo litigato per anni
e avevo freddo alle mani tanto
come stupido pazzo,
poi v’è stata pace.
Ogni trauma è destinato a diventare un fiore,
prenditene dunque cura.
Siete, che lo vogliate o meno,
in troppe dimensioni consecutive
per poter tracciare una linea dritta,
mangiate finché potete,
mangiate finché potete,
ingozzatevi finché potete.

Il reame dei sogni è abitato
dalla morte, dal Grande Giudizio,
ma nella vita
sii in grado di cogliere i cento sorrisi
delle dee e degli dei

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Questa pagina è tanto offuscata.
Ho capito, scrivo per auto-emanazione
ed allo stesso modo amo o piango.
È la parte di te migliore quella che non controlli
e che ti fa baciare solennemente
un’altra bocca,
che traccia su un foglio
le eterne riverenze e orchidee,
v.v.v.
Attento. Attento.

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E poi cosa prendere al volo?
Non sono assolutamente perduto,
non sono assolutamente instabile.
Certo, certo, su questa nave
cento sono i timoni
e cento i timonieri
e cento i loro tatuaggi sul collo.
Ma abbiamo tutti al posto della pancia
un fiume di diamanti affilatissimi
più arcani del sole.
E non sono io quest’onda di piovra
che mima tutto
che traduce tutto.
Non sono io e sono io a tutti i costi 


Mattone

Gufo o non gufo
si tralascia la parte migliore della vita.
Qualche foglia si secca, e cade,
e chissà cosa ne nascerà al suo posto.

Caro la tua psiche brilla,
accomodati, accomodati
e ne sarai pervaso.
Che tuttavia non ti spaventi il rischio
di perderti sommamente.
Qual è il mio scopo, dunque,
io blu e lunare, peloso,
che corro tra gli alberi?
Quali ingredienti hanno composto me
e la parte salina di me
e la parte vulcanica di me?

Poi, un gelo che fa gridare alle pelle il suo antico nome,
osanno te, e quanto sei forte e privo di graffi, .
Nega a me a me
e poi fallo ritornare indietro,
voglio esser visto,
voglio scomparire.

E sorsate di caldo vino.
Non diventerai un segno linguistico.
Non diventerai un segno linguistico.
Ahimè, sei finito col diventare un segno linguistico.
Io esigo tutto.
Io dimostro la testa
che con il giusto incantesimo
si è aperta.
E travestito andando esistendo
su via petrosa pietrosissima
ebbene mi consolerà il mare
e le braccia amiche che al ritorno vedrò.

Passa, passa. Attraversa,
non neanche cosa.
E nessuno si è fermato a parlare,
a scambiare quattro chiacchere.

Balla mattone timido rosso
che se hai un’anima
se ne sentirà l’urlo.
Balla mattone e la tua soave musica
di foglie soffiate
suona
come se non vi fosse un domani.
Perché se cadi ti scheggerai
ti scheggerai pesantemente
ma non morirai.