A GAME OF CHESS
Era tutto molto nero o molto bianco, e io nemmeno ci volevo
arrivare a quel punto morte!! Ma andò così male…
La torre non poteva più avanzare, c’eravamo tutti noi
davanti e a stento ci poteva passare. Johnny il cavallo se ne era partito da un
po’ via per la pianura verso il regno dei neri.
Siamo in guerra da almeno venti minuti, non ricordo più i
nomi di quelli che credo siano i miei parenti, sono pazzo da un sacco di tempo,
mi drogo, mi drogo.
I miei commilitoni li ho visti disgregarsi a volte , essere
mangiati, essere rivoluzionati nella composizione molecolare, e io resto fermo,
davanti a Hrotghar il re, perché così è stato scelto per me quindi perché così
ho scelto.
Cominciò tutto quando Venegas il Molosso, torre da un sacco
di anni, avendo avuto libero il passaggio da Sam il vecchio cristologico, si
mosse in avanti senza pietà verso Bruce Mattanza, pedone nero, esperto di
speedball per lo più, con le vene più consumate del Post-moderno.
Bruce non parlava mai, ma in quell’occasione lo vidimo
muovere le labbra dalla paura
“Io sono l’esistenzialismo che muore, sono la volontà dei
giovani e dei non più giovani di autodistruggersi, sono l’eclettismo
droghereccio, e che ne so di cosa sia amare, che ne so di cosa sia vivere ed
esercitarsi a vivere? Io voglio solo morire, voglio solo sfiorirmi, e piangermi
addosso, e autocommiserarmi, perché siamo soli, SIAMO SOLI!” sempre più livido
e viola in faccia, sempre più ammalato.
Venegas piangeva, perché lui ha sempre odiato la violenza,
ma era costretto poverino, ERA COSTRETTO!
Lo vidi maledire dio, e sputare sangue da ulcere
accumulatesi in lui per tantissimi anni, e sbrindellare con accenti spagnoli il
corpo del povero Bruce, senza pietà, piangendo, deteriorandosi di sale,
squagliandosi la coscienza, morendo dentro, morendo dentro
“Io non voglio, io non voglio, io non voglio, io non voglio,
io non voglio, IO NON VOGLIO, IO NON VOGLIO!!”
Poi la vidimo, bellissima, donna fatale, uccide, uccide. Si
è portato via Sam il vecchio pedone, unico immolato di fronte all’avanzare
dell’apocalisse buia.
Perché arriverà, lo so di certo, è arrivata.
L’ho vista danzare intorno al suo piccolo cadavere, ma
d’altronde non dovevano riuscire mai e poi mai a toccare il re, mai e poi mai.
Non sapevo nemmeno chi era tuttavia, ma ce l’avevo nel DNA, ce l’avevo nel DNA.
E fu così che vidimo gli alfieri quasi negromanti di una
civiltà sicuramente peggiore muoversi in diagonale, troppi vicino ormai, ed
anche Timothy, fratello di Jhonny, se ne andò. In un battibaleno.
“Ma io cosa sono? Cosa sono? Non sono pur sempre un
cavaliere, un cavallo-cavaliere?, di che cosa devo nutrirmi? Io non ne voglio
guerra! Non ne voglio guerra!”, cercava di scongiurarli di lasciarlo andare.
“Ma che te la tieni a fare la vita, Timothy?? Che vivi a
fare? Sei deformato, sei deformatissimo, come tutti noi. Maledetti
dall’ubiquità, maledetti dal fiume. Io devo ucciderti, voglio ucciderti, non
posso fare altrimenti, è il mio dovere cazzo, e il mio dovere lo capisci?? LO CAPISCI?!”.
Aveva cento lacrime negli occhi e la luna più nera dentro alla testa. Thimoty
il puro era morto, nel pieno degli anni, cavato dal male attraversato dallo
squallore del disegno.
Poi Malthus, pedone come me, capì che non c’era niente da
fare. Lo capimmo effettivamente tutti o quasi tutti, si era fermata la volontà
di vivere, si era più che dissipata, e noi non avevamo niente per cui
continuare. Quando la regina sposerà sempre il re, quando lo dovrà sposare
sempre, e noi spettatori del malanno del destino. E ricordo aveva quasi il
sorriso addosso quando è avanzato in diagonale, senza più dolori, senza più
niente dentro. Ha dato circa quattrocento coltellate al Fiero Sir. Lovecraft,
cavaliere africano esperto in droghe.
“Fermo Malthus! Fermo per dio! Lascierai scoperto Jimmy! La
vita è breve, la vita è breve!” provai a gridargli.
Aveva gli occhi di fuori e la cocaina sotto le unghie e due
spade, ma che cosa importava. Non si è mai giovani in realtà, non si è stati
mai giovani, non si ha mai avuto memoria né è giusto averla.
Gli ha squarciato la faccia a metà per dio! Era fuori di sé
, non stava capendo più un cazzo, solo la rabbia, solo la rabbia di aver
sprecato tutte le rose dietro la violenza, dietro il massacrarsi dentro, dietro
il fuoco.
So solo che fu lui ad ammazzarsi, non diede il tempo al
Reverendo Il Sadico di dilaniarlo dentro. Assunse lì, sul campo, tutta la
striknina che aveva dietro, e morì, come muoiono gli eroi, masticati
dall’esistenza, resi gracili, proiettili da animale. Morì come gli eroi,
stravolto dalle allucinazioni sul cadavere di Tommy il Fascinoso, l’unica
ragione della sua esistenza.
Si erano conosciuti all’inizio della partita, entrambi con
due anime appestate e falciformi, entrambi come elefanti morti, come lesbiche
magre. Il cielo non è mai stato nero dietro le loro teste, mai cazzo, mai.
“Io sono la bellezza, io sono la bellezza che non riesce a
uscire fuori dal corpo, io sono l’essenza, ma non so chi sono…. Con la pancia
squartata che ho posso solo smemorarmi” esclamò, prima di essere sbrindellato a
priori dalle lame del tedio e dei tossici.
Così accanto a me non c’era più nessuno, e Jimmy la torre
gli vidi gli occhi dilaniarsi più che mai, da soli.
Adesso che Malthus non c’era più, Lei era libera di
avanzare, e lo fece.
Ma Jimmy se ne era innamorato, così, quasi 10 secondi prima,
senza motivo. Provava pietà per quei piccoli gesti che aveva mentre massacrava
Vok, l’altro pedone venuto dall’india e abituato a scartare le occasioni
migliori. Lei pianse sul suo corpo per tredici minuti, e lo baciò, anche se era
morto e le sue carni irrecuperabili.
Adesso andava lentamente verso di lui, leggermente in
diagonale, vestita benissimo. Jimmy sapeva che non aveva più scampo, nessuno
sarebbe arrivato a coprirlo, nessuno.
E cominciò a vomitare pietre addosso a quella signora che
poco prima amava così tanto, ma era un gesto inutile. Si svuotava da fuori lo
stomaco con le mani, e parlava al sole “Eccomi, io non voglio più essere io, io
non voglio più essere Jimmy la torre, non ne ho davvero più la forza. Ti vomito
addosso tutto quello che ho, sono pieno di lacrime, sono pieno di lacrime e
mestezza, queste, queste sono le conseguenze del controllo genetico. Eppure non
mi hanno impedito di innamorarmi! Eppure non mi hanno impedito di devastarmi il
cervello col pensiero di lei che sapevo, in fondo, mi avrebbe ucciso, a
malincuore magari, tritandosi gli occhi dalla tristezza magari, annientata
dalla consapevolezza di non poter mai amare nessuno, nessuno.
Io oggi mi sacrificò per nulla, perché tutto è nulla… Si va
verso la tua fica perfetta, O Regina del Nero, scelgo di morire come ultima chance
di attirare la tua attenzione sul mio cuore evoluto ad alieno, sui buchi nelle
braccia che ho.” Vomitava e piangeva, la sua spada non brillava più, la sua
spada immensa, la più grossa, non l’abbiamo vista più.
La Regina lo sfondò fortissimo nel petto fino a fracassargli
il torace e i pusillanimi cuori che aveva dentro, e Jimmy la torre se ne andò
via urlando come un disperato sguaiando come uno squartato.
Adesso la Signora Nera guardava il nostro re Hrotghar, Animale
vichingo da soggezione, unno isterico, cavalcatore di mescalina, usurpatore di
seritonine illecite nei reami della mente.
Lui riscaldava il cucchiaino con una mano e con l’altra
impugnava il suo scettro senza il quale nessuno avrebbe saputo che era lui il
re.
Sua moglie, La Bianca, non avrebbe mai potuto sopportare uno
spettacolo di cotanta indegna gelosia e senso di possesso, di cotanta indegna
fiamma blu, di tutta quella disperazione atroce nel condurre la vita sempre sul
proprio colore, nel poter guardare solo lo spettacolo di un’ultima apocalisse
che non era solo un’apocalisse universale ma in primo luogo matrimoniale. E
nessuno aveva deciso per il loro matrimonio, nemmeno loro stessi!!
Scattò in avanti senza esitare, nudissima più nuda delle
gravidanze isteriche delle cagne vergini, e io giuro averla vista mangiare la
faccia un po’ lesbica della Nera, senza vergogna, solo per l’inconscio
“ Io non vivo!!! Io non ho idea di cosa sia vivere! Siamo
sotto controllo siamo sotto controllo siamo sotto controllo!!!! Non ci riesco a
non amarlo, non ce la faccio non ce la farò mai non ce l’ho mai fatta, lui è
mio, è il mio corpo, è la mia mente!
È tutta colpa dell’incoscienza, della fase limbica dell’incoscienza,
delle mitologie frustrate dell’incoscienza, del fuoco dentro le vene, della
vagina, della mia vagina! Io me ne voglio andare all’altro mondo, senza che
lei, Nera Speculare Forza di Non Volontà o meglio d’Annullamento possa poi
uccidere l’uomo che amo così tanto senza nemmeno averlo mai conosciuto o tenuto
per mano, senza mai un Blowjob o un Handjob o un footjob o un mazzo di rose in
Mi minore, che è oscuro, che è oscuro…”
Subito dopo Un colpo del Negromante, Alfiere, Grande Inquisitore
della vacuità dell’anima, e lei scomparve nelle ombre del cielo asigmatico, del
cielo brulicante di Metastasi varie e iridi.
Doppio Negromante, l’altra faccia del regno, attaccano il
re, io sono pazzo, io sono impazzito, non ho avuto il coraggio di fermarli, ho
semplicemente avanzato di una casella, nel buio.
“ Caro re, la follia, la follia viene a prendervi, forse vi
aveva già preso nello Spettacolo della Morte. Io odio me stesso, io odio Me e
la Negromanzia alla quale sono alfierianamente legato per genetica struttura,
io mi odio, e tutti noi odiamo noi stessi in un mantra caleidoscopico di
repressioni e magia nera.
Ma è così che deve andare, noi siamo costretti a subire lo
spettacolo della predestinazione, senza avere un attimo di respiro , senza
essere mai fuori dalla ruota, costretti a ucciderci, a mangiarci a vicenda, a
giustiziarci, senza mai amare, senza mai fare sesso, drogati di combustione
venale, drogati di cuori malati, estetisti, miracolosi esperimenti della
chirurgia aliena. Io mi odio ma odio di più te, Hrotghar.”