venerdì 14 luglio 2017

Meiji




Lenzuola, lenzuola lenzuola
come un utero
e l’insoddisfazione, ancora,
che siano solo parole.
Aver avuto bisogno di fallire
e di parlare troppo
per arrancare,
sordi e ciechi e bambini,
verso la propria luce
ed il proprio buio.
Noi che ci esprimiamo producendo suoni
o tracciando segni,
noi che ci separiamo circondandoci
di mura ed archi rampanti
tra le lenzuola, tra le lenzuola.
Tentare l’unione, la relazione, il ponte,
il fulmine da terra a cielo.
Sforzandosi di partorire e d’esser fertili
passeremo al maggese
coperti di feci di bue.
Queste enormi notti…
trascorse nel mondo dietro le palpebre
a riconoscere col dito
forme in un tumulto costante,
il mondo della linea e del punto
fuori dallo spazio e dal tempo.
Il mondo dell’apparizione, della simultaneità,
del calore al petto, del formicolio alla testa.
Vivida e favolistica sarà la stanza piena di muffa
la sofferenza dei compagni
l’istituzione
la famiglia.

Assorbire, poi combattere all’interno
dove tutto è complice.
Otto bilance, una dopo l’altra,
decisione su decisione
alla ricerca oceanica di un senso comune.

Non rimpiangere d’aver permesso- a malincuore-
una libertà o d’averla imposta
conseguendo la divisione di un’unione.
Un caro amico diceva d’avermi visto
con le gambe come le radici di un grosso albero
piantato sulla collina,
lo confesso al mundus.

È tutta consolazione o felicità pianta
prima di prendere consapevolezza
dell’occhio viola.
Ad ogni passo puoi dimenticare il precedente
e viverli tutti slegati
oppure stagliare contro il movimento
le sabbie mobili della memoria
per studiare con metodo umano
la parte metafisica, extra-terrestre
della coscienza.
Ed il comico sputacchia e suda, intanto,
e ha l’affanno
e a nessuno frega
dietro al telo del suo umorismo.

Cambiare discorso è il punto di vista migliore.
Tanto, è tutto grammaticale
e s’accorda se continui a guardarlo
da una prospettiva umile, minuta.
Sperimentando l’onnipresenza o
fondamento anarchico
di elementi guida in ogni stream
che se ne portano dietro altri
come ombre
sospendete al suono
la vostra mancina incredulità,
la resurrezione di Nettuno
nelle vostre placide anime
e del suo abisso di forca, di passione.

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Un’altra sensazione, intuizione:
Statti muto. Muto, t’a stari.
Ou, t’astuti!?
Ma non lo estirperai mai del tutto
quell’organo malato.
Fondamentale  (mu) per tendere all’assenza
di turbamento, trovarlo stratificato
in questa  foresta d’aria
è complesso
tanto quanto estrarlo dalla materia


Dunque distorcetemi pure sconquassatemi
da una parte all’altra di questa vallata,
il tuorlo è avulso dal guscio
che è pura rappresentazione, interfaccia.
Ma u stissu mutu t’a stari.
T’a stari mutu.
Piuttosto evita il divertissement
se è solo una dipendenza.
Una parte di te felice come una scimmia in branco
perchè non ha bisogno d’intuire un super-io
dove un’altra ha la barba lunghissima e la lanterna
e quello stesso insostenibile incontrollato ego
lo fugge.

Non hai fatto che aspettarli invano
negandolo a te stesso.
Trascinato dal legame che sta nascendo
lo bersagli di dubbi e di ribellioni
accusando le cicatrici di essersi cicatrizzate.
Comunque non credo sia una fuga
si è tutti sempre e comunque all’interno
del jibun

Si diceva ai samurai, prima di una battaglia,
di star sereni e confidare nel fuoco interiore
e ognuno di loro, dragone di ferro nero,
sapeva benissimo e aveva già affrontato e risolto
la necessità esistenziale della morte.
E correvano a difendere lo straordinario vizio
la straordinaria eleganza dello shōgunato
cento pianure
non per ideologia politica
ma per lo sforzo gratuito
di perseguire la verticalità glaciale terribile del nulla
in un movimento unico, completo, della durata d’una vita breve.
Non per generalizzare…. Alcuni diventarono infatti
papponi o ubriaconi persi nelle gote rosse che fa il sakè
quando è buono.
E non è neanche per reazionismo o passatismo.
È attestazione d’una parte umana capace di sollevarsi
dalla gravità del buco del culo
e del colore rosso.

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E comunque, o dolce tappeto persiano
che sei
o levigata ramificata minuscola e gigante foglia
che sei
io voglio captare inferenze nuove, indefinibili, aliene.
Accumularle
ed accusarle d’essere
tremendamente belle.

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