Discendenti di stirpi indoarie
da adulti e da bambini
sarebbero riusciti
a unire
i sessi complementari,
a guardarsi negli occhi
nel godere
per unire qualcosa
di già unico in realtà
compilando nel mentre
un taccuino di voglie
meno luminose
ma più vere
di quel non compiuto
che tanto riscaldava il petto
in giovane età.
Discendenti di stirpi indoarie
da adulti e da bambini
non avrebbero più ricordato il sogno
di un elefante, di un toro,
un leone, una dea, una ghirlanda,
una luna, un sole, un lago di loti,
un oceano di latte,
un palazzo celeste,
e una fiamma senza fumo.
San Lorenzo
O cane grigio: Cala Silenzio ti ha in sé
se entri in acqua
e occhi chiari socchiudi e chiudi
e non hai più confini
sospeso nel pulviscolo rosa
di conchiglie e chele di granchio
essiccate, imbiancate
tutte come timidi scheletri
ogni giorno a dar luce
alle ossa
dissotterrandole
dalla rossa carne.
Seconda classe, notturno. Livorno
Seconda classe, notturno. Livorno,
2:40.
Tre napoletani e un catanese
hanno provato attrazione,
invidia e quindi odio
per l’alta transessuale
che camminava nel corridoio
del treno notte,
armato
il loro cazzo
e puntatolo
in direzione
di donne californiane,
preso in giro
quel pazzo che parlava solo
e chiedeva sigarette a tutti.
Sacra di S. Michele/ La biglia della mia schiena
Sorto tutto nel mistero
la nostra mente giustifica.
L’abbazia è un titano
trapiantato su fianco prealpino
e circondato da monoliti celti,
verde roccia militare,
900 dopo cristo,
roccaforte dell’ebraiche macchine
e di Michele.
Forse ho dimenticato ogni amico
non v’è mai stato un amico
nel monastero deserto.
L’avrei ringraziato
per non aver avuto i miei occhi,
per essere stato impossibile
dietro questi
occhi
nocciola.
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Era notte e
dalla tromba delle scale
una bambina rosa
dal capello biondo
lanciò pastelli
sulla mia nuca.
La bambina era rosa
i suoi capelli biondi
e dalla tromba delle scale
diresse un pastello
contro ogni tua nuca
per avvertirti di un mostro
più grande
cui non avevi pensato.
Sorge un tramonto elettrico
tra i puntini e le i,
ogni puntino è un sole rosso
sull’orizzonte
della vocale
che ora è un lungo oceano.
Tu sei tra ginocchia ed erba
e cosce succulente
e intorno tutto l’amore
e l’odio, confini sacri che oscillano
al ritmo dei ventricoli
e la terra è marrone e
affamata, fosca, ammattita,
vi ingoia in sé
come plancton in balena
o soldati in foresta.
Dalla tromba delle scale
alla nuca arrivò il pastello
e quando posi lo sguardo dinnanzi a me
il mostro era lì, alla porta che presto
gli sarebbe stata chiusa sulla faccia,
vestito elegante e con un mazzo di fiori,
affine solo a sé stesso.
E sul legno di quella porta
il fermento del taglio che il coltello
ha solcato,
occhio di lupo rosso
in bosco silvano verde smeraldo.
Ogni immagine è totale:
INVADILA.
Il confine è enormemente ampliato dalla dolcezza.
Tutto è ondata, ogni immagine è totale:
che nell’eccesso di forma,
nei nomi che date alle cose
possiate sconvolgervi, e perdervi,
superando lo schema
-il contorno, il fonema-
nella macchia di colore
e nell’alone.
Oh occhi,
siete tutto ciò che resta,
nervo che agli occhi del pensiero
vi rende occhi vitrei
in realtà
sordido sonar
per l’invisibile.
Sbiadirono azzurro e arancione
invecchiò il macramè ai polsi
ma il mostro era ancora
lì, dietro la porta,
ombra di un maschio
mirabile e afflitto,
sesso che ha pace
solo nella sua espansione,
generale pazzo
che guarda il campo.
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Tu non / odi.
Quella volta nel parchetto
il fiore era un fulmine
e vista di falco
permetteva.
Tra rovine come gabbie
e la torre
nessuno avrebbe più pronunciato
l’incanto raggrinzito
nelle labbra negre della prigioniera,
lei avendo covato tutto
in quelle labbra come gabbie
come rovine
cercando di pronunziare
la magia dei denti che sbattevano sui denti
per il freddo,
della pelle,
delle giunture che spuntavano sotto essa
come cunei coperti da teli
e di tutte le cose che la distinguevano dagli altri,
senza mai una volta ringraziare l’assoluto
per i doni che gli dava
quando gli spaccava la faccia
e anzi, al contrario,
vivendo quei doni
come irrecusabili certezze
e la magia di quel canto
che aveva in bocca
come l’unico suo avere.
Ora il mistero protegge solenne
la fisionomia financo la quinta essenza degli altri
e nessuno indovinerà la canzone
che muore tra le labbra tue, tra le loro:
la storia, e dico, la storia di tutti sotto al cielo,
sa solo esser scura,
i suoi percorsi fiotti, getti.
La nostra canzone è nel tono del respiro,
nel respiro
rinchiuso nello spazio
tra noi e l’informazione,
tra noi e gli altri
barricati in quel circolo di buio,
e non ci guardiamo indietro
per niente al mondo.
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La differenza.
(La biglia della mia schiena)
La differenza, eppure
era incarnata in un corpo uguale
non probabile
non presentabile,
difficilmente definibile
dal più lungo aggettivo.
Marrone è il colore di terra e catarro,
noi siamo la differenza
che la mano sfiora e sente,
quella sottile abitudine
del fato
a farsi immagine totale
per l’occhio che lo dipana.
La biglia della mia schiena
è stata già lanciata
e rotola sulle mie gambe
affinché cuore si riposi e si spenga.
20/09/2018
La biglia della mia schiena pt.2
Ogni cigolio di vento
latore di comunicazioni sparse
ti si insinua nel capello
per ricollegarti a ciò che vibra.
Dal feto nel feto
si avvinghia la storia,
risultato funesto
di padelle cadute
giù dall’armadietto
come tessere una sull’altra.
Guarda, un parcheggio grigio, il Mothership,
la luna,
un frigorifero vuoto,
una percezione che può riempirsi,
uno stagno verde acqua.
Lei camminava ma
era un’illusione?
ero io che mi muovevo?
Poi si colorò
e tra le sue più grandi gesta
vi fu il colorarsi,
l’assumere, fascio di luce, una forma
per gli occhi,
e l’occhio fu il re.
Certo, anche l’orecchio.
Potete trovarmi in un frigorifero vuoto
al centro di un parcheggio grigio.
Rappresento il cervello e i suoi tentacoli sinuosi
che si abbarbicano al mattino
per camminare.
La bambina diresse
a mo’ di dardi
un pastello per ogni
punto della tua nuca.
Voleva avvertirti
del mostro,
che si è compiuto
attraverso di te
riprodotto
e adesso sta bene.
E dirti che i pastelli non erano
che un invito
a percepire,
a percepire,
a percepire.
Ti ha anche sorriso,
incontenibile il suo affetto,
incontrollabile come
la biglia che sta nella schiena,
lanciata giù dal burrone
in fretta e furia
e per sempre
perduta di vista.